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Fadda (Inapp): “La politica deve agire sui processi, non solo compensare le disuguaglianze di genere”

Il presidente dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche commentato con l'agenzia Dire i risultati del Gender politicies report 2021

Pubblicato:20-12-2021 17:09
Ultimo aggiornamento:20-12-2021 17:09
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di Laura Monti

ROMA – “La produttività delle imprese aumenta quando vengono messi in campo modelli di business che sono anche più compatibili con l’occupazione femminile, anche se è azzardato dire che è l’occupazione femminile in sé a determinare un rapporto di causa-effetto sulla produttività”. Così il presidente di Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), Sebastiano Fadda, ha commentato i risultati del Gender politicies report 2021, presentato stamattina a Roma presso la sede dell’Inapp.

“Le politiche devono agire sui processi, non possono solo tamponare i fenomeni- ha aggiunto- Non si devono compensare le disuguaglianze, ma bisogna rimuoverne le cause. Gli interventi compensativi sono necessari ma non sufficienti”. Anche per quanto riguarda il discusso strumento del salario minimo, per Fadda può essere efficace anche per ridurre gli squilibri di genere, ma solo se applicato in un’ottica di sistema.


“Per quanto il salario minimo possa essere alto- ha spiegato ai microfoni dell’Agenzia Dire- se l’occupazione è a tempo parziale (part-time) o precaria, l’incidenza del salario minimo sul reddito complessivo percepito dal lavoratore sarà minima”. Questa considerazione assume ancor più rilevanza se si tengono in considerazione i dati sull’occupazione femminile emersi proprio dal Gender poloticies report 2021 di Inapp, secondo cui quasi la metà (49,6%) di tutti i contratti femminili stipulati nel primo trimestre del 2021 sono part-time (contro il 26,6% degli uomini) e solo il 14% è a tempo indeterminato.

Il salario minimo, pertanto, “dovrebbe essere accompagnato da una riduzione di queste forme lavorative e da una maggiore diffusione di tempo indeterminato e di full- time. Solo allora funziona e ha un impatto significativo sul reddito percepito dal lavoratore. Bisognerebbe integrare il salario minimo con una azione a favore di una stabilità dei posti di lavoro e di una maggiore diffusione del tempo pieno”, ha detto ancora alla Dire. Per Fadda, infine, “la parità non deve essere una parità di risultati ma di condizione. La parità si ha quando i soggetti sono in grado di competere l’uno con l’altro, altrimenti la concorrenza non fa che favorire il più forte. Altro problema è quello della durata degli orari di lavoro. In altri paesi già ci sono dibattiti e sperimentazioni in questo senso, per esempio con la settimana di quattro giorni lavorativi. A quel punto la carriera non sarebbe più legata ad orari massacranti che non permettono di conciliare con la vita familiare. Anche il ‘part- time’ non dovrebbe essere solo lavoro meno pagato ma potrebbe essere esteso anche a posizioni manageriali”, ha concluso.

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