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L’ambasciatrice di Etiopia Zenebu: “Il capoluogo del Tigray è sotto assedio”

Appello all'Italia e alla comunità internazionale: "Devono sostenere il governo etiope"

Pubblicato:20-11-2020 18:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:37

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ROMA – Il capoluogo Macallè è già circondato e “in pochi giorni” il conflitto con i ribelli del Tigray sarà concluso: così oggi all’agenzia Dire l’ambasciatrice d’Etiopia in Italia, Zenebu Tadesse Woldetsadik, convinta che l’esercito di Addis Abeba stia cercando di tutelare i civili “il più possibile”.

Secondo la diplomatica, “la gran parte delle località” che erano sotto il controllo del Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) sono state riprese dalle forze federali. “L’avanzata è durata già due settimane – dice Zenebu – solo perché c’è stata attenzione al fine di ridurre al massimo il numero delle vittime civili”.

Nel corso dell’intervista l’ambasciatrice rivolge un appello all’Italia e alla comunità internazionale. “Devono sostenere il governo etiope che è impegnato a ripristinare il rispetto della legge e dell’ordine dopo che una base dell’esercito è stata assaltata all’interno del territorio nazionale, un fatto intollerabile“.


Zenebu dice che la responsabilità dell’episodio è stata rivendicata da “elementi incoscienti” del Tplf, che si sono poi spinti fino a bombardare l’Eritrea. “Ringraziamo Asmara che finora è rimasta calma” aggiunge al riguardo l’ambasciatrice. “L’Etiopia resta impegnata a proteggere i civili e a ristabilire l’ordine operando in modo selettivo e rispettoso della popolazione del Tigray”.

Oggi le Nazioni Unite hanno chiesto che sia concordata una tregua per consentire la creazione di corridoi umanitari dal e per il Tigray. A causa dei combattimenti, sempre secondo l’Onu, dal 4 novembre almeno 30.000 persone sono fuggite oltrepassando il confine dell’Etiopia con il Sudan.

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“GRAZIE DIASPORA PER DIGA SUL NILO”

Donazioni e fondi per oltre 50 milioni di dollari ma anche competenze e sostegno con condivisione di conoscenze e formazione: questo, secondo l’ambasciatrice Zenebu Tadesse Woldetsadik, il contributo della diaspora dell’Etiopia nel mondo alla realizzazione della “grande diga” sul Nilo.

“Si è trattato di un supporto cruciale, non solo da un punto di vista strettamente economico” sottolinea la diplomatica, in un’intervista con l’agenzia Dire. “Gli etiopi della diaspora in Europa o in America hanno mediamente un buon livello di istruzione e possono contribuire anche sul piano della ricerca”. Secondo Zenebu, “competenze sono state messe a servizio anche per il lavoro tecnico, non da ultimo per l’installazione delle turbine”.

La Grande diga del rinascimento etiope (Gerd), questo il nome dell’impianto, sorge in una regione prossima al confine con il Sudan. Alta 145 metri e lunga due chilometri, una volta ultimata sarà la più grande d’Africa, in grado di produrre a regime 15.000 gigawatt ora di elettricità.

I lavori, cominciati nel 2011 e coordinati dall’azienda italiana Salini, sono costati all’incirca quattro miliardi e 800 milioni di dollari.

Di un ruolo della diaspora si è scritto alcuni giorni fa per manifestazioni di protesta organizzate da cittadini di origine etiope negli Stati Uniti. All’origine della mobilitazione le parole del presidente americano Donald Trump rispetto a una volontà dell’Egitto di “far saltare in aria” la diga. Secondo il Consiglio per l’azione della diaspora etiope (Ceda), “una minaccia del genere nei confronti di un’opera interamente finanziata da poveri dell’Etiopia e il tentativo di impedire a un Paese sovrano come l’Etiopia di utilizzare le proprie risorse idriche costituiscono un ritorno all’epoca coloniale”.

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