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Birco, il re della musica ivoriana che a Napoli ce la fa nel film di Luca Ciriello

"L'Armée Rouge" è ambientato nella periferia est di Napoli, tra il multiculturale quartiere del Vasto e quello di Ponticelli, e porta sullo schermo il coupé decalé

Pubblicato:20-11-2020 11:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:36
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di Tommaso Meo

ROMA – “Siamo nati per farcela”, dice con lo sguardo deciso Birco Clinton – nome d’arte di Idrissa Konè – nel film “L’Armee Rouge”, documentario del napoletano Luca Ciriello presentato in concorso al 61esimo Festival dei popoli di Firenze (disponibile su Mymovies fino al 26 novembre). Il film – primo lungometraggio del regista – è ambientato nella periferia est di Napoli, tra il multiculturale quartiere del Vasto e quello di Ponticelli, dove Birco abita con altri ragazzi come lui arrivati in Italia dalla Costa d’Avorio. “La sua storia è quella di un uomo che vuole trasformare un sogno in realtà, con determinazione e astuzia e anche in modo a volte goffo”, racconta il regista all’agenzia Dire.

Birco – un nome che è la commistione di più personaggi di successo: da un imprenditore maliano all’ex presidente americano Bill Clinton – si è fatto promotore a Napoli del coupè decalé, un genere musicale ivoriano nato a Parigi nei primi anni 2000. Oltre a cantare ha riunito attorno a sé un gruppo di ragazzi della Costa d’Avorio – l’Armee rouge del titolo – che lo aiuta nella realizzazione dei videoclip delle sue canzoni e a organizzare una festa di Natale. Il film però racconta soprattutto Birco che, secondo l’autore, “è quello che si dice un ‘boukantier’, uno che fa rumore e prova a far appassionare alla sua musica”. Ciriello lo ha seguito per più di un anno, trasferendosi a vivere lui stesso nel Vasto: “Non c’è stata mediazione, ho dato pochissime indicazioni agli attori. Il segreto è stato stare con loro il più possibile e ascoltarli”. La telecamera è arrivata dopo.


Ciriello spiega di aver cercato “di fare un film energico e positivo”, fuori dalla narrazione mainstream degli immigrati. “Ho voluto – dice – raccontare una comunità che nonostante i problemi non sta male e che si inventa una propria microeconomia fatta di feste e magliette brandizzate”. Il coupeé decalé stesso si basa sull’ostentazione di soldi e vestiti firmati, “contro l’immaginario dell’africano povero”. Secondo il regista, la difficoltà maggiore è stata dover convincere “le persone che mi circondavano che era il momento di fare un film del genere”. Ciriello continua: “Per molti un film con i neri deve avere una nota malinconica o di riscatto sociale”. La tesi è che “il razzismo e i problemi per gli immigrati ci sono a Napoli come dappertutto in Italia, il razzismo è sistemico”. Nel racconto, però, questo non traspare. Si preferisce un approccio antropologico, che passa anche per le quattro lingue parlate nel film: nouchi, djoula, francese e italiano.

La storia di Birco è oltre il concetto di integrazione, secondo il regista: “Nel film ci sono momenti tipici della cultura degli ivoriani ed stato bello vedere fare loro cose che avrebbero potuto fare ad Abidjan, invece che nel Vasto, un posto dove comunque si parlano decine di lingue diverse”. E Birco ora cosa fa? “Ha avuto un figlio, si è sposato con una persona del film e io gli ho fatto da testimone di nozze”, racconta Ciriello. “Ha cambiato casa e continua la sua vita di ‘boukantier’. Lui vuole restare qui, mentre altri se ne sono andati”. Il documentario è una co-produzione di Parellelo 41 e Lunia Film. Dopo il Festival dei popoli di Firenze girerà altre rassegne italiane e internazionali per approdare su piattaforme on-demand. “Il sogno – confessa Ciriello – è portarlo in Costa d’Avorio”.

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