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Libia, il regista Khraisse: “Nuovo populismo 10 anni dopo Gheddafi”

Dieci anni fa, dopo 30 anni di regime, venne ucciso il leader Muammar Gheddafi

Pubblicato:20-10-2021 15:08
Ultimo aggiornamento:20-10-2021 15:08

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ROMA – “In Libia Muammar Gheddafi manca a molti. Tra i nostalgici c’è sia chi lo amava prima della rivoluzione, sia chi la rivoluzione l’ha sostenuta ma ormai pensa che non sia servita a niente. Se davvero il figlio Saif Al-Islam si candiderà alla presidenza, avrà già una larga base su cui contare, o almeno così sembra, in assenza di statistiche affidabili. Quanto al nostro primo ministro, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, non ha interesse a imitare il colonnello: è un novello Trump, miliardario, populista, carismatico e bravo a farsi amare”. Questa l’analisi che il regista libico Khalifa Abo Khraisse traccia per l’agenzia Dire, nel giorno in cui ricorre il decennale dalla morte di Muammar Gheddafi.
Il leader libico venne catturato, torturato e ucciso il 20 ottobre 2011 dai ribelli del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), che misero così fine a oltre 30 anni di regime. Il Cnt si formò sulla scia delle rivolte di piazza contro l’establishment per ottenere riforme e libertà, e che degenerarono in una guerra che vide l’esercito confrontarsi con il Cnt sostenuto dalla Nato.

UN GOVERNO PROVVISORIO CHE HA DIMENTICATO DI ESSERLO

“Tra chi rimpiange Gheddafi c’è sicuramente chi è stanco di dieci anni di conflitto, dell’aumento della corruzione e della crisi economica perché quando c’era lui, c’erano benessere e stabilità” continua Abo Khraisse. “Oggi si potrebbe pensare che siamo sulla strada giusta per costruire una Libia più pacifica, ma le cose non stanno così”. Il regista sostiene che nonostante il cessate il fuoco siglato dalle milizie e il nuovo Governo di unità nazionale sostenuto dalla comunità internazionale “il premier e i suoi ministri dimenticano che il loro è un governo provvisorio: uno dei principali compiti sarebbe quello di organizzare le elezioni. Molte decisioni invece vengono prese senza valutare gli effetti a lungo termine”.
In particolare, Dbeibeh, secondo Abo Khraisse, “è interessato a dare al popolo ciò che il popolo vuole, più che a fare ciò di cui il Paese ha bisogno, preparando la transizione e le prossime elezioni”, che sono state programmate tra dicembre e gennaio 2022. Ad esempio, dice il regista, “il premier ha garantito 40.000 dinari alle nuove coppie di sposi, incurante del fatto che potrebbe far aumentare l’inflazione. Il capo del Parlamento, Aguila Saleh, ha risposto a quel provvedimento proponendo un assegno da 50.000 dinari a famiglia”. Manovre “populiste” a fronte delle quali “il voto risulta come sabotato dalle stesse istituzioni: non di rado si sentono politici dire che non serve, ci sono tensioni e spaccature”.

UN’OPINIONE PUBBLICA SPESSO PREDA DI FAKE NEWS E PROPAGANDA

Eppure, almeno stando ai numeri, i libici vogliono andare alle urne: ad agosto quasi 3 milioni di aventi diritto si erano già registrati per votare. “La macchina della propaganda però qui è davvero potente” continua Abo Khraisse, convinto che sia da parte del governo libico che da forze esterne vengano “iniettate idee, sentimenti o fake news, a cui l’opinione pubblica crede facilmente”. L’ultimo esempio è il raid a Gargarish, un quartiere di Tripoli dove l’1 ottobre la polizia ha arrestato oltre 4.000 migranti. “Da giorni il governo parlava di ‘ripulire’ l’area da droga e prostituzione, e di realizzare un nuovo progetto edilizio” dice il regista, evidenziando che sempre da qualche giorno le autorità trasmettevano anche “messaggi e sentimenti xenofobi”. La sua tesi è che “forse si preparava il terreno per ‘ripulire’ l’area dai profughi”, anche perché “l’operazione è stata definita un ottimo lavoro”. Nel giorno degli arresti, con disordini, una persona è morta e 15 sono rimaste ferite.
Per Abo Khraisse, a dimostrare che “il governo libico nutre vari interessi in quel quartiere”, che guardano anche al turismo e più in generale a non perdere i finanziamenti stranieri, c’è anche l’annuncio giunto sempre l’1 ottobre “dell’ambasciata d’Italia a Tripoli di un progetto di restauro di un sito archeologico romano non lontano da lì”, di cui si trova il relativo post su Twitter.


L’IPOTESI DELL’AMNISTIA PER I PRIGIONIERI DI GUERRA

A chi ha criticato l’operato del governo libico, dice il regista, “dal ministero dell’Interno hanno risposto con una nota ricca di ‘avvertimenti’ alle cosiddette ‘penne prezzolate’ che ‘creano disinformazione’. Giornalisti e attivisti sono stati invitati a smetterla, oppure ad aspettarsi ‘conseguenze'”. Oltre a reporter, attivisti e difensori dei diritti, la società post-rivoluzionaria libica è composta anche da giovani che secondo Abo Khraisse nutrono “forti sentimenti di rivalsa per il fallimento della democrazia”.
Una situazione a cui, di nuovo, dalla politica non arriverebbero risposte, bensì spinte opposte: “Il premier ha proposto un’amnistia per tutti i prigionieri di guerra. A molta gente sta bene mentre altri contestano una riconciliazione nazionale fondata sulla totale impunità verso chi ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità”. Un dato, questo, confermato da un recente rapporto delle Nazioni Unite che indica responsabilità precise a carico delle diverse milizie che si sono confrontate in Libia.

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