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L’Alzheimer lavora nel buio per venti anni, i sintomi compaiono quando è tardi

Anzidei (Fondazione Igea): "Per la malattia avanzata non c'è cura, bene fare screening dopo i 50 anni"

Pubblicato:20-09-2022 17:34
Ultimo aggiornamento:20-09-2022 17:34
Autore:

alzhaimer_anziani
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ROMA – “L’Alzheimer è una malattia che non ha possibilità di cura ma c’è la possibilità di prevenirla, cioè di affrontarla prima che appaiano i sintomi”. A dirlo è Giovanni Anzidei, fondatore e vicepresidente della Fondazione Igea, onlus con lo scopo di promuovere studi sul fenomeno dell’invecchiamento della popolazione.


Contattato dalla Dire in occasione della Giornata mondiale sull’Alzheimer, che si celebra domani 21 settembre, Anzidei ha spiegato come questa malattia, che colpisce circa 47 milioni di persone nel mondo, inizialmente non dà alcun sintomo: “Per circa 15 anni lavora al buio e non dà sintomatologia. Infatti, quando arriva e comincia a distruggere i neuroni, il cervello si accorge della mancanza di neuroni e chiede a quelli superstiti di fare il doppio lavoro. Automaticamente compensa i danni che può fare la malattia. Quindi chi è malato non se ne accorge, ma la malattia continua a mangiare i neuroni. È un processo che dura 15-20 anni, fino a quando i neuroni superstiti sono talmente pochi che non riescono più a compensare, e solo allora appaiono i sintomi”. I sintomi, dunque, compaiono solo quando la malattia è in uno stato assai avanzato ed è questo il motivo per cui “le medicine in questo campo non hanno finora dato alcun risultato”.


Importante, quindi, lavorare sulla prevenzione, per scovare la malattia prima che mostri i suoi primi segnali. A tal proposito, Anzidei ha citato uno studio del neurofisiatra Lamberto Maffei che nel 2018 ha ideato il protocollo ‘Train the brain’, sperimentato dall’istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche: “Maffei ha pensato di usare la grande plasticità del cervello umano per contrastare l’inizio della malattia, attraverso esercizi di intelligenza, memoria e creatività”. Attività particolarmente indicate sono “il canto e suonare uno strumento”, ha detto ancora Anzidei. In entrambi i casi, infatti, si tratta di “azioni che emozionano e le emozioni sono fondamentali perché i malati perdono la memoria ma non perdono le emozioni. Attraverso le emozioni, quindi, si riescono a stimolare molto bene”. Il protocollo Train the Brain, ha proseguito Anzidei, “ha dato risultati molto positivi: a distanza di anni, l’80% de casi trattati o sono rimasti stabili o addirittura sono migliorati”.


Ma che tipo di controlli si possono fare per accorgersi in tempo dell’insorgere della malattia? “Dopo i 50 anni è bene fare un controllo da un neuropsicologo una volta l’anno– ha risposto Anzidei- Si tratta di un semplice colloquio con test di intelligenza, attraverso i quali un professionista è in grado di accorgersi di qualcosa che non va anche prima che il paziente presenti i sintomi veri e propri. È una cosa molto importante, perché l’unica cosa che possiamo fare per difenderci dall’Alzheimer è la prevenzione”, ha concluso.

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