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Informazione e potere, oggi in Italia

di Barbara Varchetta, Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali

Pubblicato:20-05-2016 16:16
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:45

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di Barbara Varchetta Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali

Rimane attuale l’assunto secondo il quale l’informazione (nelle sue diverse manifestazioni) rappresenta il quarto potere di uno Stato. Lo sa bene la politica, che non esita ad esercitarne un controllo finalizzato all’esaltazione dei risultati ottenuti in un certo periodo di governo piuttosto che al sostegno delle attività poste in essere in alcuni settori strategici utili alla costruzione del consenso. Ce lo insegna la storia: chiunque, ed in qualunque periodo più o meno recente, sia arrivato a governare democraticamente un Paese o lo abbia conquistato manu militari, non ha potuto esimersi dal tentare di ottenere,  o dall’ imporre, una sorta di egemonia sul sistema dell’informazione. Escludendo dall’analisi (per necessaria economia espositiva) il lunghissimo lasso temporale che va dalla costituzione della polis greca alla nascita delle moderne democrazie occidentali, può comunque dirsi che ciascun Governo, in Italia così come nel resto d’Europa e negli evoluti Stati Uniti, ha influenzato, sia pur non nell’accezione coercitiva, la linea editoriale delle più importanti testate giornalistiche e televisive presenti sui rispettivi territori. A fare la differenza sono state e sono, però, le modalità di influenza: l’informazione americana, ad esempio, è inequivocabilmente divisa tra supporters repubblicani e democratici, spesso in ragione di questioni squisitamente economiche che inducono i colossi mediatici a schierarsi persino in fasi delicate come le campagne elettorali. Conseguenza di un tale sistema è senz’altro l’estrema parzialità dei media accompagnata, di contro, da una grande chiarezza nei confronti dei lettori, o più in generale dei fruitori dell’informazione che, conoscendo a priori l’orientamento politico della fonte da cui attingono le notizie,  difficilmente cadono in errori di valutazione. In Italia accade esattamente il contrario. Si predica la libertà dei mezzi di informazione, con ciò riferendosi alla loro indipendenza dalla politica; si esalta il pluralismo inteso come pluralità delle fonti informative nonché dei diversi orientamenti ai quali si offre spazio sui media; si nega la dipendenza dei gruppi editoriali di punta da questo o quel partito politico e dallo stesso Governo, pur essendo consapevoli del fatto che essi sopravvivono grazie ai finanziamenti pubblici ed ai rapporti (spesso economicamente rilevanti) con la politica che si preoccupa della loro “sopravvivenza”; si lascia così intendere ai cittadini che l’informazione non sia pilotata né controllata da chi detiene il potere; si fa un gran parlare del servizio pubblico televisivo, che per ovvie ragioni dovrebbe offrire (ma non lo fa) a tutte le fasce della popolazione un imparziale, dettagliato quadro d’insieme relativo ai fatti non già all’interpretazione degli stessi… In realtà si finge l’esistenza di un sistema che non c’è. Viene rafforzato, invece, un modus operandi in cui si tende a marginalizzare il dissenso, a colpire il pluralismo, alla fine negando quello che per la Costituzione (art. 21) è un diritto inviolabile: manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, tenendo sempre presente che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. A conferma di quanto sostenuto è sufficiente citare gli ultimi eventi indicativi dell’ingerenza della politica (realizzata sotto mentite spoglie) nello scenario dell’informazione: la soppressione del programma Rai Virus, nel quale Nicola Porro pone questioni di gran rilievo elevandosi spesso a “voce fuori dal coro”; l’avvicendamento nella direzione del quotidiano Libero (l’editore è un parlamentare di Forza Italia da poco folgorato da Verdini e dalle capacità del Governo in carica) in cui Maurizio Belpietro, reo di aver osteggiato il pastrocchio della riforma costituzionale, è stato subito rimpiazzato da un Vittorio Feltri, scopertosi improvvisamente filogovernativo; pare che anche il programma di Massimo Giannini, da sempre vicino alla sinistra ed oggi additato come antirenziano, non verrà riconfermato. E che dire del Manifesto, sopravvissuto soltanto grazie ad una brusca virata verso l’orientamento politico maggioritario. Sarebbe opportuno spiegare ai cittadini quanti e quali schieramenti sussistano, oggi, nell’ampio universo mediatico, perché possano distinguere tra propaganda politica e servizio di informazione.


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