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Somalia, l’architetto Degan: “Memoriale per una nuova Mogadiscio”

Un memoriale - il primo per Mogadiscio - per ricordare le 512 vittime dell’attentato del 14 ottobre 2017

Pubblicato:20-04-2018 16:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:47

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Omar Degan

ROMA – Una scacchiera di bianco e grigio chiaro che si allunga delineando un percorso nella luce. Ai due lati sassolini di ghiaia fino al bordo di rettangoli incassati nel terreno, in lieve pendenza. “Sono 512, uno per ciascuna vittima dell’attentato del 14 ottobre” spiega Omar Degan, un architetto italo-somalo nato a Torino 27 anni fa. Ha un sorriso che conquista – si legge su ‘Oltremare’, rivista online dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) – ma porta la mano alla fronte e lo sguardo si perde lontano: “I rettangoli sono grandi come un tappeto di preghiera islamico”.


Geometrie e simboli per Mogadiscio, capitale della Somalia che vorrebbe rinascere sgombrando le macerie della guerra civile. La scacchiera è l’inizio di un percorso immaginato per il primo memoriale mai immaginato in Somalia dai tempi di Siad Barre, l’ultimo presidente del tempo di pace. Poi sono cominciati 26 anni da incubo, dalla battaglia di Mogadiscio raccontata da Ridley Scott in ‘Black Hawk Down‘ agli incerti annunci di vittoria dei governi “di transizione” su Al Shabaab. Per ritrovarsi comunità non è bastata la caduta di Kismayo, sottratta al gruppo islamista nel 2011 solo grazie all’intervento dell’esercito del Kenya.


Anche a Mogadiscio l’architettura è quasi ferma” spiega Degan: “Sono stati ammodernati e ampliati l’aeroporto internazionale e l’ospedale, intitolato ora al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma le nuove infrastrutture pubbliche restano poche. Ci si limita a utilizzare vecchi edifici sfregiati dal conflitto; soprattutto, manca un approccio allo spazio condiviso”. L’attentato del 14 ottobre, quello delle 512 vittime, il più grave di sempre in Somalia, è stato l’ultimo colpo. Ai giorni della paura e del lutto, però, sono seguiti impegni e solidarietà nuove.

Lungo i cumuli di macerie annerite dall’esplosione del camion-bomba hanno sfilato manifestanti con drappi rossi per dire basta alle stragi e chiedere pace. Un appello raccolto dal Comune e dall’amministrazione regionale di Benadir anche con il bando per la realizzazione del memoriale in ricordo delle vittime.

Ho pubblicato online il rendering del mio progetto perché voglio suscitare un dibattito, spingere a riflettere e magari anche avviare una raccolta fondi” racconta Degan. Dell’attentato aveva saputo mentre era a Nairobi, sulla via per la Somalia. Uno shock e allo stesso tempo l’ultima spinta per un impegno nuovo nel Paese d’origine della sua famiglia dove non aveva mai vissuto. “L’idea è maturata nei due mesi successivi all’attentato” spiega Degan. “Voglio dare una risposta a tre esigenze differenti: il ricordo delle vittime, la rigenerazione urbana e la sicurezza”.

I rettangoli conducono allora a uno spazio raccolto, definito da tre pareti che sembrano chiudere il cielo. Su quelle di destra e di sinistra sono incisi i nomi delle vittime. Su quella centrale c’è la ricostruzione dell’attentato, seguito pare al blitz in un villaggio della missione dell’Unione Africana che appoggia il governo contro Al Shaabab. “Oppressione” e “dolore”, dice Degan descrivendo lo spazio stretto dalle pareti. Ma la città non resta fuori. Il percorso è infatti costeggiato da vasi di piante e blocchi di calcestruzzo in modo da garantire il contatto con l’esterno, anzitutto visivo.

“Voglio lavorare sulla percezione della sicurezza” spiega l’architetto: “È possibile proteggere dal rischio di un’autobomba senza trasmettere il senso del pericolo costante”. Equilibri difficili, in una città in cerca di se stessa. Tentativo documentato dall’unico parco di Mogadiscio, intitolato alla pace nel 2015 dopo che l’area era stata bonificata da mine e ordigni inesplosi.

L’ingresso costa un dollaro e questo vuol dire che è per tante famiglie ma non per tutte” sottolinea Degan. Che per il suo memoriale, il “14 ottobre”, immagina uno spazio completamente libero. Una visione che richiama l’impegno come architetto delle “emergenze abitative” perseguito, dopo il trasferimento a Londra, in America Centrale o in Camerun. “Ne stiamo discutendo con gli studenti di Hano Academy, un centro per la formazione e la specializzazione professionale” spiega l’architetto: “Li avevo incontrati durante un corso e li ho rivisti quando sono tornato a Mogadiscio, a febbraio”.



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