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Clima, l’Onu avverte: “Possiamo invertire la catastrofe, ma dobbiamo agire ora o sarà troppo tardi”

“Ci sono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo, e sono disponibili ora”, segnalano gli esperti delle Nazioni unite

Pubblicato:20-03-2023 14:38
Ultimo aggiornamento:20-03-2023 14:38

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ROMA – Non ci sono dubbi. Le emissioni di gas serra di origine umana alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili stanno provocando il caos sul pianeta ma possiamo ancora fare qualcosa per affrontare, frenare e mitigare l’emergenza climatica in atto. E’ possibile, ma dobbiamo agire ora, questo è il decennio decisivo, poi sarà troppo tardi e più avanza il riscaldamento più sarà difficile intervenire. E’ imperativo smettere subito di usare i combustibili fossili, avviare e finanziare politiche di adattamento, soprattutto per le aree più vulnerabili, e dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, mantenendo vivo il target di Parigi di +1,5 gradi. Si può fare, ma “nonostante i progressi ci sono lacune nelle misure di adattamento che agli attuali tassi di attuazione aumenteranno”, mentre restano “divari tra le emissioni previste dalle politiche in atto e gli impegni assunti a livello nazionale” mentre “i flussi finanziari non raggiungono i livelli necessari”. Lo ribadisce l’ONU nel rapporto di Sintesi dell’IPCC diffuso oggi, lavoro che conclude la pubblicazione del Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) del Gruppo di studio delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici.

Ci sono opzioni “multiple, fattibili ed efficaci” per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici “e sono disponibili ora”, ma “è essenziale un’azione accelerata per l’adattamento in questo decennio per colmare il divario tra l’esistente e ciò che è necessario”, avverte l’IPCC.
Per mantenere il riscaldamento entro +1,5 gradi sopra il periodo preindustriale sono necessarie “riduzioni profonde, rapide e durature” delle emissioni di gas a effetto serra in tutti i settori, “dovrebbero diminuire già ora e essere ridotte della metà entro il 2030, verso lo zero nel 2050”. Nello specifico le emissioni di CO2 vanno tagliate mediamente rispetto ai livelli del 2019 del 48% nel 2030, del 65% nel 2035, dell’80% nel 2040 e del 99% nel 2050 (43% 60% 69% 84% le percentuali di riduzione necessarie per i gas serra nel loro complesso). “Lo sviluppo resiliente al clima, però, diventa progressivamente più impegnativo con ogni incremento del riscaldamento”, dunque “le scelte che faremo nei prossimi anni giocheranno un ruolo fondamentale nel decidere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno”.

Oltre un secolo di combustione di fossili e uso insostenibile e non equo di energia e territorio ha portato a un riscaldamento globale di +1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali, ricorda l’IPCC.
La conseguenza sono eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e intensi che causano in ogni regione del mondo impatti sempre più pericolosi sulla natura e sulle persone. Ogni incremento della temperatura si traduce in un rapido aumento dei pericoli. Ondate di caldo più intense, piogge più pesanti e altri eventi meteorologici estremi aumentano ulteriormente i rischi per la salute umana e gli ecosistemi. In ogni regione le persone muoiono per il caldo estremo, l’insicurezza alimentare e idrica causata dal clima salirà con l’aumento del riscaldamento e quando questi rischi si combinano con altri eventi avversi come pandemie o conflitti diventano ancora più difficili da gestire.


La buona notizia, però, è che “ci sono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall’uomo, e sono disponibili ora”, segnalano gli esperti delle Nazioni unite. “Un’azione per il clima efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, fornirà anche vantaggi più ampi”, spiega il presidente dell’IPCC Hoesung Lee. Questo Rapporto di sintesi “sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e lo mostra come, se agiamo ora, possiamo ancora essere in grado di garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti”, aggiunge Lee.

Visto che le conseguenze colpiscono vari paesi e popolazioni in modo diseguale, a tutto danno dei più svantaggiati, “la giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico ne sono colpiti in modo sproporzionato”, sottolinea Aditi Mukherji, una dei 93 autori del rapporto. “Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici”, aree dove “nell’ultimo decennio i decessi per inondazioni, siccità e tempeste sono stati 15 volte superiori” rispetto al resto del pianeta, aggiunge l’esperta.

Per frenare l’emergenza climatica in atto e mantenere vivo l’obiettivo di Parigi di +1,5 gradi di riscaldamento medio globale massimo la soluzione c’è ed è lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici, segnala l’IPCC. Perché forniscano benefici più ampi le misure di adattamento vanno intehgrate con azioni per ridurre le emissioni di gas serra. L’accesso all’energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto per le donne e bambini; l’elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi, in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell’aria, la salute, le opportunità di lavoro e favoriscono l’equità. Insomma, i vantaggi economici per le persone, per la loro la salute, derivanti dai soli miglioramenti della qualità dell’aria “compenserebbero o forse anche superebbero i costi sostenuti per ridurre o evitare le emissioni”.

Sostegno ai più svantaggiati e meno colpevoli, dunque, ma gli attuali livelli di liquidità finanziaria per il clima sono “nettamente inadeguati e ancora pesantemente compensati dai flussi destinati alla finanza fossile”. Il capitale globale “sarà sufficiente per ridurre rapidamente le emissioni se le barriere esistenti verranno ridotte” e i governi, “attraverso finanziamenti pubblici e segnali chiari agli investitori“, sono fondamentali per abbattere queste barriere, ma “anche gli investitori, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria possono fare la loro parte”.

Per essere efficaci, però, le azioni messe in campo “devono essere radicate nei diversi valori, visioni del mondo e conoscenze, quella scientifica, quella indigena e quella locale”, segnala l’IPCC, favorendo “soluzioni localmente appropriate e socialmente accettabili”. “I maggiori guadagni in termini di benessere “potrebbero derivare dal dare priorità alla riduzione del rischio climatico per le persone a basso reddito e le comunità emarginate, comprese le persone che vivono in insediamenti informali”, avverte Christopher Trisos, uno degli autori del rapporto, ma “un’azione accelerata per il clima avverrà solo se ci sarà un aumento di diversi multipli nella finanza per il clima, oggi finanziamenti insufficienti e disallineati stanno frenando il progresso”.

“Se tecnologia, know-how e misure politiche adeguate vengono condivise, e da subito vengono erogati finanziamenti adeguati, ogni comunità può ridurre o evitare il consumo ad alta intensità di carbonio”. Allo stesso tempo, “con investimenti significativi nell’adattamento, possiamo evitare l’aumento dei rischi, soprattutto per i gruppi e regioni vulnerabili”, esorta l’IPCC.

È più probabile che i cambiamenti trasformativi abbiano successo dove c’è fiducia, dove tutti lavorano insieme per dare priorità alla riduzione del rischio e dove i benefici e gli oneri sono condivisi equamente”, sottolinea il presidente dell’IPCC Hoesung Lee. “Viviamo in un mondo eterogeneo in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità per realizzare il cambiamento. Alcuni possono fare molto mentre altri avranno bisogno di supporto per aiutarli a gestire il cambiamento”, conclude Lee.
Il VI Rapporto fornirà ai decisori politici la valutazione più completa delle informazioni scientifiche relative al cambiamento climatico nella storia dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP). Il documento di sintesi diffuso oggi rappresenta il punto di partenza delle negoziazioni per gli accordi che si discuteranno a fine novembre a Dubai durante il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul clima, la COP28.

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