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Migranti, gli ultimi di Bruzgi: “È un suicidio, ma andiamo in Polonia”

Voci dal campo profughi in Bielorussia: "Si parte verso la foresta con bambini di tre mesi e disabili, ci sentiamo abbandonati dall'Europa"

Pubblicato:20-03-2022 15:00
Ultimo aggiornamento:20-03-2022 15:00

bruzgi profughi
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ROMA – “Non possiamo più restare nel campo, dobbiamo partire per la foresta e sperare di entrare in Polonia. Sappiamo che è un suicidio ma non abbiamo scelta. Ci sentiamo abbandonati e presi in giro dall’Europa, i governi e le organizzazioni internazionali”. Questa la denuncia che l’agenzia Dire ha raccolto dal portavoce dell’ultimo gruppo di 39 persone all’interno del campo profughi di Bruzgi, in Bielorussia, a pochi chilometri dalla città di Grodno e dal confine con la Polonia. Quest’ultimo Paese è la meta per le ultime famiglie del campo, che dopo una lunga discussione hanno deciso di partire. Il centro per migranti infatti va svuotandosi dei profughi arrivati nei mesi scorsi perché, come denunciano i migranti, da qualche giorno i militari bielorussi hanno iniziato a minacciare di rimpatriare i profughi – in maggioranza provenienti da Siria e Iraq – se non andranno di loro volontà verso la Polonia.

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La maggior parte è già partita e a Bruzgi sono rimaste 39 persone, quelle tra cui ci sono i casi più “difficili”: famiglie con molti bambini piccoli – due hanno due e tre mesi – e poi i disabili, tra cui un ragazzo tetraplegico, un adolescente senza gambe, due bambine con malformazioni ossee che rendono la mobilità complessa e un ragazzo cieco e muto.


“Non ce la facciamo più ad aspettare”, continua il portavoce. “Se restiamo in pochi, i militari potranno portarci via in qualsiasi momento. Magari di notte“. L’alternativa è raggiungere la Polonia sperando di essere accolti e poter presentare domanda d’asilo. Ma “non è detto che sopravvivranno. Questa gente lo sa ma dopo mesi trascorsi nell’inferno del campo di Bruzgi, e a causa delle ultime minacce, sta cedendo psicologicamente”, spiega alla Dire Silvia Cavazzini di Gandhi Charity, organizzazione umanitaria che nel contesto di questa crisi migratoria si occupa di cercare vie legali per permettere ai profughi in Bielorussia di ottenere visti per l’Europa.

Raggiungere la Polonia a piedi non è un viaggio sicuro perché, come avverte l’alleanza di ong polacche Grupa Granica (in italiano ‘gruppo di frontiera’), al confine boscoso ricco di corsi d’acqua e paludi le temperature sono ancora rigide e di notte scendono sotto lo zero. Stando alle loro testimonianze, una volta superata la Bielorussia, si rischia di restare intrappolati nella “buffer zone”, la lingua di terra larga appena un centinaio di metri dove inizia la barriera di filo spinato lungo il confine polacco. Qui nessuno può accedere, è un’area dove “è sospeso il diritto di tutelare la vita umana” dal momento che, come denuncia l’ong in un comunciato, “la gente viene lasciata senza cibo, acqua e cure“.

C’è poi la red zone, la fascia di interdizione profonda tre chilometri dal confine polacco dove ong e giornalisti non possono entrare. Grupa Granica aggiunge: “Da sette mesi chiediamo che sia revocato (da parte del governo polacco) il divieto di ingresso nella zona di confine e che siano protetti coloro che sono vittime di guerre e del regime di Lukashenko“. La notte scorsa, l’organizzazione riferisce di aver salvato una famiglia siriana che era riuscita a varcare il confine, “c’erano anche due bambini di 7 e 9 anni – scrive ancora Grupa Granica – ed erano molto stressati anche a causa del freddo intenso e per la presenza di animali selvatici nella foresta“.

Da quando è iniziato l’afflusso di profughi mediorientali dalla Bielorussia, il governo di Varsavia ha chiuso le frontiere motivando tale scelta con la necessità di scongiurare il traffico di esseri umani. Ieri, come riferisce la Guardia di frontiera sul suo profilo Twitter, gli agenti hanno arrestato al confine “64 stranieri (originari di Iraq, Egitto, Yemen e Siria)” e “un gruppo di altri 15″ che avevano tentato di entrare illegalmente attraversando il fiume Svisloch”, insieme a “quattro criminali”.

Secondo gli attivisti però, i militari respingono regolarmente indietro i richiedenti asilo e arrivano ad arrestare i volontari che li aiutano se sospettati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

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