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Il caso di Davide Astori e il rebus del ‘cuore d’atleta’. Spunta l’ipotesi del “difetto genetico”

II presidente dell'Arca (Associazione regionale cardiologi ambulatoriali) non è convinto che a uccidere Davide Astori sia stato il cosiddetto cuore d'atleta

Pubblicato:20-03-2018 17:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:39

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ROMA – Il recente decesso, apparentemente inspiegabile, del calciatore della Fiorentina Davide Astori ha generato nei più un senso di panico e di sgomento, nell’angosciosa domanda senza risposta: “Com’è stato possibile un evento così drammatico in un soggetto giovane, atleta, peraltro supercontrollato?”. Spiega il presidente dell’Arca (Associazioni regionali cardiologi ambulatoriali), Giovanni Zito: “Per quel che è dato sapere circa le prime risultanze dell’autopsia, esperti di notevole competenza ipotizzano che il possibile meccanismo alla base della morte improvvisa del calciatore sarebbe stata una bradiaritmia, vale a dire un estremo rallentamento del battito cardiaco verificatosi nel corso del sonno, con progressiva evoluzione fino all’arresto cardiaco asistolico (cioè, la totale cessazione dell’attività elettrica e meccanica del cuore)”.

Con ogni probabilità, tuttavia, quest’ipotesi potrebbe essere il frutto “del mancato riscontro di anomalie macroscopiche dell’anatomia cardiaca e, quindi- prosegue Zito- della difficoltà ad individuare allo stato una causa documentata dell’evento fatale. Da un punto di vista clinico, l’idea che in un soggetto esente da cardiopatie il cuore possa rallentare la frequenza del suo battito fino a fermarsi definitivamente appare non in perfetto accordo con la fisiologia”.

Nei soggetti dediti ad attività sportiva sistematica, in particolare negli atleti che praticano sport di resistenza, è infatti usuale il riscontro di bradicardia sinusale (un rallentamento della frequenza cardiaca a riposo), a causa di un marcato aumento del tono vagale. “L’esercizio fisico abituale e prolungato- spiega il presidente dell’Arca- provoca un rimodellamento autonomico, cioè uno squilibrio tra le due sezioni del sistema neurovegetativo (il simpatico, che provoca aumento della frequenza cardiaca o tachicardia e il parasimpatico o vago, che determina l’effetto opposto). La prevalenza vagale negli sportivi e, più in generale, nei soggetti con elevato ‘training’ fisico, è un fenomeno del tutto fisiologico e risponde alla necessità di offrire al soggetto una più ampia riserva funzionale cardiaca, da ‘spendere’ nei momenti di aumentato fabbisogno (come può accadere in occasione di una competizione agonistica o di un allenamento strenuo)”.


L’esasperazione del tono vagale negli atleti diventa ancor più evidente durante la notte, una fase della giornata in cui fisiologicamente tale tono si intensifica. “Per questa ragione il monitoraggio elettrocardiografico continuo delle 24 ore (Holter) in un atleta allenato- fa sapere Zito- può documentare pressoché costantemente, durante il riposo notturno, bradicardie sinusali molto marcate (fino a 30 battiti/minuto o anche meno), oltre a disturbi della conduzione atrio-ventricolare, considerati fenomeni del tutto fisiologici e semplice espressione di quell’insieme di adattamenti anatomo-funzionali del cuore tipici degli sportivi, che vanno sotto il nome di ‘cuore d’atleta’”.

Va precisato, però, che nonostante l’entità spesso clamorosa delle manifestazioni elettriche del ‘cuore d’atleta’, queste “regrediscono sempre prontamente e completamente con l’esercizio fisico e non sono quasi mai responsabili di eventi clinici, a meno che non concomitino condizioni patologiche misconosciute. Perciò, l’attribuzione del decesso del calciatore alla bradicardia di per sé potrebbe non essere molto plausibile”.

Commenta il presidente dell’Associazione Arca: “Personalmente ritengo più verosimile che la morte improvvisa sia stata determinata, nel caso di specie, da una tachiaritmia ventricolare, cioè da un’alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da un drammatico aumento di frequenza dell’attività elettrica dei ventricoli fino alla fibrillazione ventricolare“.

In questa condizione, che rappresenta in assoluto la più comune causa di morte improvvisa aritmica, viene “totalmente perduto il sincronismo funzionale delle fibrocellule muscolari dei ventricoli- aggiunge Zito- per cui si verifica l’incapacità a pompare sangue e la mancata fornitura di ossigeno agli organi vitali, con conseguente morte cerebrale entro pochi minuti. Ovviamente, se così fosse, la domanda sorge spontanea: perché si è verificata una fibrillazione ventricolare durante il sonno?

Esistono due condizioni morbose potenzialmente responsabili di morte improvvisa aritmica da fibrillazione ventricolare in corso di sonno o, comunque, a riposo, in soggetti esenti da cardiopatie strutturali: la sindrome del QT lungo di tipo 3 (LQTS3) e la sindrome di Brugada“.

Si tratta di affezioni geneticamente determinate (definite ‘canalopatie‘) che comportano l’alterata funzione di alcune proteine di membrana delle cellule miocardiche deputate al flusso di specifiche correnti ioniche e la cui anomalia è alla base dell’innesco di tachiaritmie ventricolari. “In entrambe queste sindromi aritmogene eredofamiliari – spiega l’esperto- l’origine della fibrillazione ventricolare è favorita dall’aumento del tono vagale e dalla bradicardia. Esiste, perciò, uno stretto legame tra la bradicardia sinusale notturna e l’arresto cardiaco da fibrillazione ventricolare in soggetti portatori asintomatici di queste anomalie genetiche. È possibile ipotizzare, a mio sommesso avviso, che Astori fosse un portatore misconosciuto di LQTS3 o di sindrome di Brugada e che il decesso possa essere avvenuto per fibrillazione ventricolare esordita durante il sonno, come tipicamente accade in queste due condizioni aritmogene”.

I portatori di queste sindromi, conclude infine Zito, vengono “solitamente identificati tramite registrazioni elettrocardiografiche seriate, ma non sempre ciò accade, perché l’espressione elettrica delle suddette patologie può essere estremamente variabile, talora minimale. Poiché i pazienti con LQTS3 o con sindrome di Brugada hanno cuori strutturalmente sani, l’autopsia macroscopica può non fornire informazioni diagnostiche e l’identificazione della causa di morte deve essere perseguita attraverso una sofisticata valutazione istopatologica e, soprattutto, attraverso l’autopsia molecolare, che consiste nell’analisi biomolecolare del miocardio ventricolare alla ricerca di quelle alterazioni delle proteine di membrana che sono in grado di sottendere l’origine di aritmie potenzialmente fatali”.

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