
REGGIO EMILIA- “Ero miliardario ed ora sono un pezzente, sono in mezzo alla strada“. E’ lo sfogo di Giuseppe Iaquinta, imprenditore imputato nel processo contro la ‘ndrangheta “Aemilia”, che stamattina è stato nuovamente ascoltato nell’aula del tribunale di Reggio Emilia.
SUO FIGLIO E’ IL FAMOSO CALCIATORE
Iaquinta, padre del calciatore campione del mondo Vincenzo, è infatti uno dei nove imputati che, rispetto ai nuovi capi di imputazione formulati dalla pm Beatrice Ronchi, hanno scelto di proseguire il giudizio con il rito ordinario (altri 26 hanno optato per l’abbreviato).
E’ ACCUSATO DI AVER CONTINUATO A FARE’ AFFARI ANCHE DOPO L’ARRESTO
Le nuove accuse, in particolare, riguardano la partecipazione degli imputati alla presunta associazione mafiosa con epicentro in Emilia, anche dopo il loro arresto nel gennaio del 2015 e fino allo scorso 8 febbraio, quando sono state formulate le nuove tesi accusatorie.
VENNE SCARCERATO A MARZO 2015 DUE MESI DOPO ARRESTO
Su questo, Iaquinta, scarcerato dal Tribunale del Riesame di Bologna a marzo del 2015 due mesi dopo l’arresto, tiene subito a precisare di non aver avuto da allora più rapporti con gli altri imputati.
“DAL 3 ANNI NON MI VEDO CON NESSUNO”
“Dal 2015 non mi vedo con nessuno, nemmeno una telefonata, li vedo solo qua in tribunale”. L’imprenditore di origine calabrese, accusato di aver fatto affari in diretto contatto con il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri e il suo luogotenente in Emilia Nicolino Sarcone, si sofferma però soprattutto -nell’esame condotto dal suo difensore Carlo Taormina- sulla propria attuale situazione economica e lavorativa.
“DA QUANDO SONO USCITO DAL CARCERE TRATTATO COME UN APPESTATO”
Sottolineando ad esempio di avere “immobili invenduti a Reggiolo per circa 10-11 milioni” e fatture da incassare per lavori svolti ad oggi congelate per tre milioni circa. “Quando sono uscito dal carcere– dice Iaquinta- ho cercato di riprendere a lavorare, ma era come se avessi la peste. Nessuno mi a fatto fare più niente. Le banche non mi hanno più dato nulla“.
“NEL 2012 AVREI POTUTO DARE UNA MANO PER IL TERREMOTO”
Iaquinta puntualizza inoltre che nel 2012, con il terremoto, “potevo lavorare e salvare le mie società, ma tutti mi hanno chiuso le porte. Dopo l’esclusione dalla white list un avvocato della Regione mi disse che se fossi uscito da quella situazione mi avrebbero ridato i contratti”. Quanto alle società possedute dall’imprenditore, viene precisato, la “Iaquinta costruzioni” è fallita ed è poi ritornata in bonis con un concordato, mentre una seconda azienda “non ha mai operato“.
“IO ONESTO, LA MIA COLPA E’ STATA DARE CONFIDENZA”
Ora, conclude Iaquinta, “sto facendo un lavoro a Quattro Castella, ma niente di che. Io sono sempre stato onesto e pulito: la mia colpa è stata di dare confidenza a tutti. Ma il motivo per cui sono qua, ancora non so qual è”.

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