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Nel 2017 le ‘contaminazioni culturali’ non possono più fare paura

di Imam Yahya Pallavicini, Presidente CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana In un recente seminario a Milano su Religioni e la crisi dei rifugiati promosso dal Ministero degli Affari Esteri e dall'ISPI il giurista Silvio Ferrari ha alimentato il dibattito dei partecipanti ponendo la domanda "quale politica per i migranti adotterebbe un governo populista?"

Pubblicato:20-03-2017 16:53
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:02

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di Imam Yahya Pallavicini, Presidente CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana
In un recente seminario a Milano su Religioni e la crisi dei rifugiati promosso dal Ministero degli Affari Esteri e dall’ISPI il giurista Silvio Ferrari ha alimentato il dibattito dei partecipanti ponendo la domanda “quale politica per i migranti adotterebbe un governo populista?”.
Si è detto che la crisi profonda tra Nord e Sud del mondo sembra assumere la necessità di una attenzione prioritaria rispetto al conflitto tra Est e Ovest. Oriente e Occidente non sembrano più avere l’esclusiva di una attenzione geopolitica ma sono piuttosto le tensioni tra Europa e Africa o tra Stati Uniti d’America e Messico a prevalere nel dibattito politico. In questo dibattito assumono un rilievo le minacce del populismo che ostenta un programma di conservazione dell’identità settentrionale rispetto al pericolo di una “contaminazione” meridionale.
Quando ascolto queste affermazioni mi sembra di tornare indietro al Medio Evo, periodo che, per un musulmano italiano come me, rappresenta una serie di secoli di particolare fertilità e ricchezza spirituale, culturale e scientifica, ma che tuttavia erano attraversate da divisioni: i concetti islamici di “dar al-harb”, la “terra della guerra”, e la “dar al-islam”, la “terra della civiltà islamica”. Come se la terra creata da Dio potesse assumere improvvisamente una qualità positiva e negativa a secondo di dove regna un sistema religioso specifico rispetto alle altre terre di conquista. Uno slogan simile convinceva i colonizzatori e i missionari a “civilizzare” con la forza o con il whisky i “selvaggi” pellerossa in America o i “neri” africani in Africa o i “musi gialli” o gli indiani in Asia. A parte l’eccezione dei ghetti e dei musei per gli indiani d’America, dalla fine del secolo scorso sono gli immigrati africani e asiatici a “conquistare” la terra dei “bianchi” trovando educazione e lavoro per il progresso del sistema economico occidentale.
Ciò che invece è alla radice della “crisi” o dell’ “emergenza” (migranti o rifugiati, integrazione o cittadinanza) è la mancanza di una cultura e di una politica che sappia interpretare con sensibilità e intelligenza una visione e una gestione dell’umanità. A rispondere a questo “problema” ha contribuito il Ministro degli Esteri Angelino Alfano concludendo la presentazione dell’ultimo numero della rivista on-line Atlantide, periodico della Fondazione per la Sussidiarietà. Oltre al direttore della rivista Giorgio Paolucci e al Presidente della Fondazione Giorgio Vittadini, sono intervenuti il segretario generale dell’AVSI, Giampaolo Silvestri, l’arcivescovo Silvano Tomasi, delegato del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e il Ministro Alfano.
La prima condizione per affrontare seriamente la questione è il superamento di un programma “miope” e “settoriale” dove si ragiona secondo una sola categoria e finalità, economia o politica o cultura o società o religione, senza comprendere la realtà e la complessità delle situazioni.
La globalizzazione e l’interconnessione tra i problemi o le sfide sociali ci fa comprendere come sia necessario e imprescindibile una interdisciplinarietà di collaborazioni e soluzioni. A sensibilizzare su questo metodo insiste Mons. Tomasi declinando probabilmente la prospettiva del Servizio per lo Sviluppo Umano Integrale voluto da Papa Francesco. Si tratta forse di un superamento della Dottrina sociale della Chiesa aggiornata con ispirazioni dalla ‘Caritas in Veritate’ e dalla ‘Laudato Si’ che legano il servizio dell’economia al Bene comune delle persone, alla “trasformazione interiore” e al “cambiamento della mentalità” dell’uomo. Una testimonianza simile ho avuto modo di sentire sempre all’Ispi di Milano dal direttore del Servizio internazionale per i Rifugiati dell’ordine dei gesuiti, Padre Smolich, quando sottolineava che si tratta di “conversazioni” o di relazioni che “convertono” l’individualismo in una nuova amicizia e fraternità.
Lo stesso Ministro Alfano ha fatto riferimento a Papa Francesco sottolineando il suo coraggio e la lungimiranza nell’attenzione alla vita dei migranti: “Democrazia, libertà, benessere, pace- ha detto- vanno rappresentati in modo diverso da come la Chiesa e le religioni possono fare seguendo una prospettiva universalistica. Vanno gestiti insieme nella cura degli interessi nazionali di un Governo e della società”.
Un’alternativa alla soluzione populista nel dibattito storico tra famiglia socialista e famiglia popolare può essere rappresentata dal modello italiano di collegare Sicurezza e Solidarietà, Immigrazione e Cooperazione internazionale con soddisfazione anche di molti Governi dell’Africa.
È interesse comune arginare il “fatturato criminale” di coloro che speculano sul traffico dei migranti e sostenere condizioni sociali e culturali di sviluppo che permettano programmi di lavoro e scambio efficaci nel ridurre la povertà e l’ignoranza. Parallelamente, la collaborazione interistituzionale con le organizzazioni non governative, può favorire un processo di pace, nella prevenzione e nella riconciliazione tra le parti in conflitto. Programmi avviati di cooperazione internazionale allo sviluppo in Libia, Tunisia, Niger, Libano, Giordania danno segnali di speranza e soddisfazione come modelli virtuosi di un “patrimonio immateriale” che accompagna i beni materiali tramite un programma di educazione e investimento.
In tutto questo processo diventa importante il concorso anche di organizzazioni di orientamento religioso, cristiano cattolico o protestante, ma anche della comunità islamica d’Europa che sappiano collaborare per prevenire l’estremismo e sostenere la maturazione di una cittadinanza nella quale il valore del pluralismo, della dignità e della libertà religiosa sia un autentico fondamento e un antidoto al fondamentalismo della paura e dell’egoismo.

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