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Bruce Willis e la demenza frontotemporale, l’esperto: “Non c’è nessuna cura”

Il professor Camillo Marra, presidente della Società italiana di neurologia per le demenze, parla della patologia di cui soffre la star di Hollywood

Pubblicato:20-02-2023 17:43
Ultimo aggiornamento:21-02-2023 18:23
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(Foto Instagram Bruce Willis)

ROMA – Demenza frontotemporale: è la malattia che ha colpito il 67enne Bruce Willis, uno degli attori più amati di Hollywood. Una malattia che gli sta portando via ciò che lo ha fatto conoscere al grande pubblico e che, insieme al saper recitare, l’ha reso famoso in tutto il mondo: la sua voce. “La demenza frontotemporale è una delle forme di demenza degenerativa più frequenti dopo l’Alzheimer – spiega all’agenzia Dire il professor Camillo Marra, responsabile della clinica della memoria, Fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma, e presidente della Società italiana di neurologia per le demenze (Sindem) – È una malattia conosciuta da svariati decenni, addirittura la sua descrizione precede di dieci anni quella della demenza di Alzheimer. È però meno conosciuta perché meno frequente, è una patologia più rara: la frequenza sulla popolazione è infatti del 5-7% di tutte le demenze degenerative, mentre la demenza di Alzheimer costituisce il 50-60% di tutte le forme di demenza”.

“La caratteristica di questa demenza – prosegue l’esperto – è quella di ‘attaccare’ le regioni frontali e temporali e quindi, più che essere una unica demenza, è un vero e proprio insieme di demenze. La demenza frontotemporale è infatti un termine generico sotto cui includiamo demenze che esordiscono o prevalentemente nelle zone frontali, e in questo caso ci sono quadri prevalentemente comportamentali, o prevalentemente nelle zone temporali, e in questo caso abbiamo disturbi che caratterizzano prevalentemente il linguaggio, le capacità di ritrovare le parole, di riconoscere i concetti che sono dietro le parole e di riconoscere le persone e i nomi degli oggetti. È, dunque, una malattia dei concetti e queste forme vengono chiamate afasie primarie progressive“.


Marra informa poi che “nell’ambito della demenza frontotemporale ci sono vari sottotipi di demenza, parliamo delle varianti comportamentali e di quelle linguistiche. Da ciò che viene detto, quella da cui sembra essere affetto Bruce Willis sembrerebbe essere prevalentemente una forma linguistica, in cui si è persa la capacità di trovare le parole e i concetti nel linguaggio comune“.

Bruce Willis sta recitando un ruolo che non avrebbe mai voluto interpretare. In un film che, molto probabilmente, non avrà un lieto fine. “Purtroppo la via d’uscita non c’è – spiega Marra – perché la demenza è degenerativa e al momento non esiste una cura. Ma anche se non si può fare nulla per questa malattia, intercettarla in maniera molto precoce può essere di aiuto negli interventi, soprattutto quelli nei confronti della famiglia. Aiuti che possono anche essere di tipo riabilitativo, ad esempio, sui disturbi linguistici che, se intercettati in fase iniziale, benché la patologia sia degenerativa, possono trarre un po’ di giovamento da una terapia riabilitativa che permetta di facilitare i sistemi di comunicazione e che può essere utile a procrastinare il momento della dipendenza”.

“Inoltre – tiene a informare il presidente della Sindem – la corretta identificazione della malattia evita che il paziente sia trattato in maniera errata con farmaci neuropsichiatrici o che vada incontro a trattamenti psicofarmacologici sbagliati, perché magari si considera la malattia totalmente psichiatrica, come ad esempio nella variante comportamentale. La corretta identificazione della malattia aiuta anche a una più adeguata cura del paziente che, altrimenti, rischia di andare incontro a errori farmacologici”.

Le difficoltà per arginare la demenza frontotemporale non sono poche. “A differenza della malattia di Alzheimer, per la quale sono in corso studi che stanno portando a farmaci che potrebbero in futuro essere in grado di bloccare il processo neuropatologico – ricorda Marra -, in questo caso il processo neuropatologico è legato ad altri meccanismi che sono solo in parte conosciuti e che comunque non hanno ancora una loro risposta terapeutica. Tra l’altro, la malattia di Alzheimer ha una ereditarietà genetica nell’1-2% dei casi, mentre la demenza frontotemporale ha una ereditarietà genetica decisamente molto più marcata. Ecco perché la possibilità di fare prevenzione è molto minore”.

Ma quando ci si accorge della comparsa di questa patologia? “Nella forma linguistica l’evidenza è immediata, agli esordi della malattia – dichiara l’esperto – il paziente comincia a non trovare le parole, a parlare male, a scambiare una parola per un’altra, a indicare, ad esempio, una sedia quando si vuole indicare il tavolo o quando si vuole definire un oggetto con un nome, ad esempio forchetta per dire coltello. Più complesso il discorso per la variante comportamentale della demenza frontotemporale, perché in questa variante i disturbi non riguardano la sfera cognitiva ma i cambiamenti caratteriali: dai cambiamenti delle abitudini di vita allo sviluppo di alcune stereotipie e manie, dai disturbi ossessivo compulsivi al cambiamento del carattere, dall’adeguarsi alle regole sociali alle capacità di stare con gli altri nel giusto modo, fino al fare commenti inopportuni“.

“Nelle varianti negative – afferma poi il responsabile della clinica della memoria, Fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma – trovano spazio l’apatia, la mancanza di iniziativa, il non voler fare una conversazione, il non voler uscire con gli amici, ma anche il non occuparsi più degli interessi e degli hobby. È una cosa più subdola, che inizia magari anche anni e anni prima dell’esordio franco dei sintomi e che molte volte il consorte, o i figli, interpretano come una modifica comportamentale o caratteriale. Spesso questi pazienti con forme di demenza frontotemporale comportamentale vanno in cura dallo psichiatra prima ancora che dal neurologo, perché vengono interpretati come quadri di cambiamento comportamentale più che di una malattia neurologica”.

Camillo Marra ricorda infine che non esiste una tipologia di pazienti affetti da demenza frontotemporale. “C’è però da dire che la demenza frontotemporale colpisce in egual misura uomini e donne, il rapporto è 1 a 1, mentre la demenza di Alzheimer colpisce più le donne rispetto agli uomini, il rapporto è 2 a 1. Per quanto riguarda l’insorgenza, c’è un’alta variabilità, anche se in genere la malattia fa la propria comparsa più precocemente rispetto all’Alzheimer. Mentre l’età media dell’Alzheimer ha un range di esordio che va dai 60 ai 90 anni, nella demenza frontotemporale la malattia può esordire più precocemente, ci sono casi di persone colpite in età davvero molto giovane, e in genere c’è un picco di esordio della malattia intorno ai 55-60 anni. L’età media di esordio della demenza frontotemporale – conclude l’esperto – si colloca dunque dieci anni prima rispetto a quella della malattia di Alzheimer“.

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