“A Gaza ancora morti nonostante la tregua”: parla la cooperante

Arianna Martini di Support and Sustain Children: "All'indomani del cessate il fuoco, spari di cecchini, tra le vittime un bambino"

Pubblicato:20-01-2025 22:39
Ultimo aggiornamento:21-01-2025 12:25

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ROMA – “A Gaza si muore ancora nonostante il cessate il fuoco, anche se da domenica si spara e bombarda meno”. Inizia così l’intervista con l’agenzia Dire di Arianna Martini, fondatrice e presidentessa di Support and Sustain Children (Ssch), che nella Striscia si occupa di portare acqua e pacchi alimentari ai civili colpiti dalla guerra. La cooperante è in contatto costante coi suoi operatori e, non appena riceverà i permessi, assicura, conta di “raggiungerli al più presto”. “È fondamentale fare un’analisi dei bisogno reali”, dice Martini, sottolineando che sono “immensi” perché “a Gaza è un disastro ovunque”.

Cosa riferiscono i residenti? “Ci dicono che la tregua, entrata in vigore domenica, sembrerebbe reale, si spara e bombarda molto meno” risponde la fondatrice di Ssch. “Tuttavia, proprio poco fa (NDR: lunedì 20 gennaio) mi hanno riferito di colpi d’arma da fuoco e morti: pare che tra le vittime ci sia un bambino”.
La conferma arriva dall’emittente Al Jazeera che, citando l’agenzia palestinese Wafa, riporta di due vittime a Rafah, nel sud, per colpi “sparati da cecchini”. Tra i morti, appunto, anche un bambino. Altre otto persone, tra cui ancora bambini, sono rimaste ferite per “colpi di fucile sparati dagli israeliani” sempre nella città di Rafah.
“Anch’io, mentre ieri ero al telefono coi miei colleghi a Khan Younis, ho potuto sentire qualche colpo d’arma da fuoco e poi il rumore degli elicotteri” dice Martini. Col risultato che “la gente festeggia il cessate il fuoco, ma vive ancora nella paura e la notte non dorme. Mi hanno detto: ‘Questo rumore non ci fa dormire, ci pattugliano dal basso e dall’alto'”.
Un altro effetto dell’angoscia che attanaglia le persone è il continuo movimento: “Le persone non riescono a stare ferme in un posto per troppo tempo- riferisce Martini- perché in questi 15 mesi hanno imparato che spostarsi aumenta le possibilità di sopravvivenza. Anche le chiamate coi nostri operatori spesso avvengono mentre si stanno spostando, a piedi o in auto”.

“DOPO 15 MESI DI EMBARGO, URGENTE FAR ARRIVARE CONVOGLI CON GLI AIUTI”

L’urgenza però, dopo 15 mesi di embargo su qualsiasi prodotto, essenziale o meno, è ricevere gli aiuti. L’accordo stretto tra Israele e Hamas prevede anche l’apertura dei valichi israeliani per consentire l’accesso ai convogli. “Mi dicono che hanno visto camion entrare- continua la presidentessa di SSCh- già prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco di domenica. Ma non hanno capito a chi appartengono”.
Nel frattempo, l’organizzazione è riuscita a comprare dall’Egitto “80 tende per gli sfollati: con l’ingresso degli aiuti, i prezzi finalmente si abbassano”. Le tende, prosegue Martini, “ora sono un bene assolutamente essenziale, dato che la gente è intenzionata a tornare alle proprie zone d’origine, nella piena consapevolezza che non ritroverà né la propria casa né nient’altro”.
I filmati che giornalisti e residenti condividono mostrano distese di macerie a perdita d’occhio. Le Nazioni Unite riferiscono che oltre i due terzi di strade, edifici, scuole, ospedali e campi coltivati sono stati danneggiati o distrutti. L’Oms stima una spesa di 10 miliardi di dollari solo per il sistema medico-sanitario, dal momento che “tutti gli ospedali sono stati danneggiati o parzialmente distrutti”.
“Mi chiedo come si faranno a rimuovere tutte queste macerie: richiederà sforzi sovrumani e tanti soldi, osserva la cooperante, che avverte: “La maggior parte delle famiglie vuole tornare a casa, qui c’è l’usanza di tenere sempre in tasca la chiave di casa. Vedo una capacità di riprendersi incredibile ma in questo momento le persone si sentono anche impotenti e non hanno idea di come sarà il loro futuro. Si siedono sulle macerie e confidano in Dio”.


“PER STRUTTURARE INTERVENTI SERVONO ALMENO 6 MESI, SE LA TREGUA REGGE”

Quanto al lavoro di Ssch, Martini spiega: “Intendiamo seguire gli sfollati nelle zone d’appartenenza, principalmente a nord. È presto però per dire cosa faremo: dovremo vedere se la tregua regge. Da agosto lavoriamo a creare un punto medico per dare servizi non salvavita, come cure pediatriche, ai malati cronici o a persone colpite da malattie e problemi collegati al crollo degli standard igienico-sanitari e al freddo. Ma la prospettiva per inquadrare le attività è di almeno sei mesi”.

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