Setta delle bestie, l’esperta: “Basta criminalizzare”

Raffaella Di Marzio, direttrice del Centro studi sulla libertà di Religione, punta il dito contro la "deriva colpevolista" che avrebbe caratterizzato il processo sulla setta di Novara. Il procedimento si è concluso nei giorni scorsi con una sola condanna per violenza sessuale di gruppo e ben 25 assoluzioni

Pubblicato:20-01-2025 18:14
Ultimo aggiornamento:20-01-2025 18:14

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ROMA – Bestie o figlie di Saffo? Nelle palestre facevano danze sessuali, meditazione, prendevano erbe. ‘Bestie’ perché si davano nomi di animali, perché il loro desiderio era di essere uniti alla natura. Il processo alla setta che aveva sede nel novarese e faceva capo a un settantanovenne milanese, Gianni Maria Guidi, meglio conosciuto come “Il Dottore” vedeva 26 imputati per reati a sfondo sessuale e si è concluso con una sola condanna a Barbara Magnani, la badante del leader fondatore, ormai deceduto. Nel processo il CeSap (Centro Studi sugli Abusi Psicologici) si era costituito parte civile, nella persona dell’avvocato Marco Marzari, chiedendo anche ingenti risarcimenti.

“ERBORISTERIA, MEDITAZIONE E DANZA SAFFICA, MA NESSUN RISCONTRO SUGLI ABUSI DEL FONDATORE”

“Il fondatore che è deceduto aveva creato una comunità in cui si praticava erboristeria, meditazione legata alla sfera sessuale, danza. Era chiamato il dottore. In queste riunioni che si tenevano in diversi luoghi come palestre- spiega alla Dire Raffaella Di Marzio, direttrice del centro Lirec e psicologa delle religioni- queste donne facevano una danza molto saffica. Erano infatti soprattutto donne- racconta, anche attingendo dalle testimonianze di alcuni assolti- Se il fondatore abbia compiuto abusi, ad oggi non abbiamo riscontri”.

IL PERCHÈ DELLE PRESCRIZIONI

E veniamo alla questione delle prescrizioni che tanto clamore ha suscitato. “Non un paracadute salvifico- come ha scritto in un comunicato la camera penale di Novara dopo il clamore mediatico sull’unica condanna- le prescrizioni non sono maturate nel corso del processo per cavilli delatori delle difese, ma prima ancora che cominciassero le indagini, le azioni erano prescritte perché erano eventi degli anni ’80-’90. Il pm non avrebbe dovuto mettere alcune persone tra gli imputati”, ha chiarito riferendosi in particolare ad un articolo uscito sul quotidiano La Stampa che sosteneva che gli imputati si fossero salvati per la prescrizione.

“NESSUN ALLARME SOCIALE”

“Denunciamo la deriva colpevolista- insiste Di Marzio- la presunzione d’innocenza viene dimenticata dai media soprattutto quando si tratta di minoranze. Lo ‘strisciante giustizialismo’, come lo definisce la Camera penale di Novara, quando viene applicato alle sette diventa ancora più feroce, viene amplificata la cattiveria e il gruppo viene visto come un mostro collettivo. Le persone non si sentono al sicuro, ma non è un pericolo reale, non c’è nessun allarme sociale”, torna a sottolineare.
Di Marzio spiega: “Molte andavano liberamente, ho parlato con le vittime, gli imputati assolti, magari erano impiegati dello Stato e hanno perso il lavoro, questa gente è andata a chiedere aiuto, ci ha rimesso in medicine”. L’unico caso di violenza che ha avuto riscontri è quello della ragazza che ha raccontato di “esser stata violentata da questa donna (la badante del leader) con qualche oggetto”.
Sul caso della setta delle Bestie secondo Di Marzio “è andata in scena la solita macchina dell’istigazione all’odio messa in atto anche anche dai media. Anche se alcuni gruppi di minoranza sono un po’ strani, sono espressioni di libertà da tutelare se non commettono abusi. Se un gruppo si riunisce per commettere abusi allora- sottolinea l’esperta- é un’associazione a delinquere e va perseguita e non ci importa se crede in Saffo o nella Madonna”. Del resto “i mafiosi, quelli che uccidono i bambini e li mettono nel cemento, magari hanno il culto della Madonna e baciano i santini”, conclude.

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