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Adolescenti e identità sessuale: è scontro sui farmaci che bloccano la pubertà

La Società Psicoanalitica italiana esprime "grande preoccupazione" sull'uso di farmaci che bloccano la pubertà in bambini e adolescenti che non si riconoscono nel sesso di nascita. Gli endocrinologi: "I dati scientifici dicono altro"

Pubblicato:20-01-2023 12:08
Ultimo aggiornamento:24-01-2023 15:05
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ROMA – Infondate dal punto di vista scientifico e ingiustificatamente allarmistiche. Così cinque società scientifiche, insieme all’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (Onig), definiscono le dichiarazioni della Società Psicoanalitica Italiana (Spi) sul rischio di danni fisici e psichici dei farmaci bloccanti la pubertà nei bambini e negli adolescenti con disforia di genere, cioè che soffrono perché non si riconoscono nel sesso di nascita.

A prendere posizione sono la Società Italiana di Endocrinologia (Sie), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (Siedp) – insieme alla Società Italiana Genere, Identità e Salute (Sigis), la Società Italiana di Pediatria (Sip) la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (Siams), in una lettera indirizzata alla premier Giorgia Meloni e al ministro della Salute Orazio Schillaci.

Riteniamo che la posizione della Spi contenga errori di interpretazione e imprecisioni in contrasto con i dati scientifici ad oggi disponibili– dichiarano Annamaria Colao, presidente Sie, e Mariacarolina Salerno, presidente Siedp – Gli studi di follow up, infatti, dimostrano che i trattamenti con farmaci bloccanti la pubertà sono reversibili, consentono di guadagnare tempo per riflettere in modo consapevole sulla scelta di cambiare sesso e sono in grado di ridurre in modo significativo depressione, rischio suicidario e comportamenti autolesivi negli adolescenti trattati”.


Nella lettera al Governo gli esperti precisano che i farmaci vengono somministrati sempre in casi selezionati, con profondo disagio, approfonditi e studiati da un’equipe multidisciplinare, come descritto dalla Determina dell’Aifa. “Il trattamento con i farmaci bloccanti la pubertà in adolescenti con disforia di genere non è peraltro in sperimentazione, come erroneamente descritto dalla Spi, ma è stato autorizzato dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2018 e approvato da Determina dell’Aifa nel 2019, nonché sostenuto da raccomandazioni scientifiche anche internazionali e già ampiamente utilizzato nella pratica clinica”, puntualizzano Colao e Salerno.

Inoltre, si sottolinea nella missiva a Meloni e Schillaci, gli interventi per lo sviluppo del blocco puberale sono prescrivibili solo a pubertà già avviata su adolescenti che abbiano già iniziato lo sviluppo puberale (stadio 2 di Tanner). Contraddittoria – sottolineano gli endocrinologi – anche la considerazione secondo cui sarebbe sbagliato basare la valutazione dell’identità di genere sulle affermazioni del soggetto: l’auto-percezione di sé è infatti anche alla base di tutte le valutazioni in psicologia, anche all’interno dello stesso approccio psicoanalitico.

“Tutto questo rischia di creare un allarme ingiustificato nei ragazzi con disforia di genere in cui è presente una profonda sofferenza psichica legata anche al pregiudizio e allo stigma di chi nega che l’identità sessuale possa essere incongruente con il sesso assegnato alla nascita”, concludono Colao e Salerno.

LA POSIZIONE DELLA SOCIETÀ PSICOANALITICA

Due giorni fa, in una lettera indirizzata al ministro Schillaci, l’esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana aveva espresso “grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale”. Per la Spi, la diagnosi di disforia di genere in età prepuberale “è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso”.

Secondo gli psicanalisti, poi, “solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà”. Nella lettera, firmata dal presidente Sarantis Thanopulos, si legge poi che “lo sviluppo psicosessuale è un fattore centrale del processo della definizione” e “l’arresto dello sviluppo non può sfociare in un corpo diverso, sotto il profilo sessuale, da quello originario. Lo sviluppo sessuale del proprio corpo anche quando contraddice un opposto orientamento interno consente un appagamento erotico che un corpo ‘bloccato’ o manipolato non offre“. Per questo, la Spi aveva proposto “una rigorosa discussione scientifica” offrendosi di dare il suo contributo.

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