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Pfas in Veneto, la commissione d’inchiesta: “Il sito Miteni inquina ancora”

È arrivato il verdetto della commissione di inchiesta sui Pfas: l'attuale barriera non è efficace e il progetto di bonifico inadeguato

Pubblicato:20-01-2022 13:38
Ultimo aggiornamento:20-01-2022 13:39

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VENEZIA – L’attuale barriera idraulica che dovrebbe fermare la contaminazione da Pfas diffusa dal sito ex Miteni di Trissino, provincia di Vicenza, “non è efficace”; il decommissioning dello stabilimento Miteni “ha subito un considerevole ritardo” per questioni legate alla pandemia Covid e al momento il progetto di bonifica dei terreni dell’area occupata dallo stabilimento “non è adeguato”. È quanto emerge dalla Relazione sulla diffusione delle sostanze perfluoralchiliche della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, approvata ieri e visionata dalla ‘Dire’.

CONCENTRAZIONI ANCORA “ELEVATISSIME”

Per quanto riguarda la barriera idraulica, la relazione rileva che secondo l’ultimo rapporto di Ici 3 Holding, socio unico della Miteni che si è assunto l’onere di gestire barriera e bonifiche, “dal 2013 a giugno 2020 sono stati estratti circa 5.800.000 metri cubi di acqua per un totale di 17,7 chili di solventi clorurati, 1.244 chili di derivati dei benzotrifluoruri e 183 chili di composti perfluoroalchilici”. Ciononostante il piezometro Mw18, che monitora l’acqua dopo la barriera idraulica a sud dello stabilimento rileva ancora “elevatissime concentrazioni, fino a 11.000 nanogrammi per litro per il Pfoa, 3.000 nanogrammi per litro per il Pfos, 19.000 nanogrammi per litro per la somma dei Pfas, 5.000 nanogrammi per litro per il GenX e 5.000 nanogrammi per litro per il C6O4, tra le date del 28 ottobre 2020 e il 3 marzo 2021, con picchi in data 12 gennaio 2021“. E questo “è la prova che la barriera non tiene ancora in modo efficace, posto che non sono state ancora superate le difficoltà della falda sottostante” l’area dello stabilimento. E tra l’altro, nell’ultima verifica effettuata a settembre 2021 è risultato che dei 41 pozzi per il prelievo dell’acqua di falda che viene poi depurata, 27 erano non funzionanti per diversi motivi.

“LA SOCIETÀ ICI 3 DOVRÀ FORNIRE GARANZIA DEL SISTEMA DI BARRIERA”

Che l’attuale barriera non sia efficace emerge anche da quanto stabilito nel corso della riunione del Comitato tecnico del protocollo d’intesa Regione-Provincia-Comune-Arpav” del 4 ottobre 2021, continua la relazione. In tale sede si è stabilito di richiedere alla società Ici 3 di “fornire la garanzia del miglioramento dell’attuale sistema di barrieramento-falda, rendendolo affidabile e senza interruzioni del pump & treat; intercettare tutto il plume inquinante, prima che esca dalla Miteni; garantire il rigido funzionamento del sistema sul breve-medio-lungo periodo con il controllo delle azioni di emergenza; fornire un progetto per bloccare/intercettare il plume dentro la proprietà, analizzando ipotesi integrative, quali ad esempio un microtunnel sub-orizzontale di completamento e/o similari intercettazioni lineari della falda inquinata”.


ARRIVERANNO LASTRE D’ACCIAIO PER ‘SALVARE’ ACQUA PULITA

Inoltre “è stato già approvato dal Comune di Trissino, nel mese di marzo 2020, il progetto di una palancolatura fisica che la Ici Italia 3 si è obbligata a effettuare. Palancolatura che sarà inserita nel terreno, così separando l’area del torrente Poscola da quella dei fabbricati della Miteni, in modo da limitare il più possibile l’apporto di acque di ricarica da parte del torrente stesso e di conseguenza l’apporto di acqua pulita, a monte rispetto al sito ex Miteni”. In sostanza si tratta di “lastre di acciaio che saranno infisse fino a 20 metri di profondità al fine di impedire, in primo luogo, all’acqua del fiume Poscola (il torrente che costeggia il sito) di entrare al di sotto del sito, evitando che acqua pulita entri sotto il sito, per poi ritrovarla inquinata nei pozzi e di doverla pompare, emungere e trattare”. Il costo della palancolatura è di circa due milioni di euro, a carico della Ici 3, ma i lavori di costruzione potranno iniziare solo dopo che sarà ultimata la liberazione dei terreni. E qui c’è un inghippo, perché la società indiana Viva Life Sciences Private Limited, che ha acquistato gli impianti della Miteni per trasferirli in India, “non ha potuto far arrivare in Italia proprio personale proveniente dall’India” a causa delle restrizioni legate alla pandemia Covid. E la presenza di personale della Viva Life Sciences Private Limited è necessaria per “le attività di scanning degli impianti funzionali a poterli rimontare nel luogo di destinazione”. I primi visti al personale indiano sono stati rilasciati dall’ambasciata italiana solo a settembre 2021, e questo ha costretto Viva Life Sciences Private Limited a ufficializzare un nuovo cronoprogramma delle attività di decommissioning che prevede la conclusione dei lavori non più a dicembre 2021, ma a dicembre 2022. Il ritardo accumulato è, quindi, di circa un anno.

Venendo infine alle bonifiche dei terreni, al momento Ici 3 prevede di procedere con due progetti pilota. Il primo prevede la bonifica tramite ossidazione chimica, mentre il secondo tramite desorbimento termico. Si tratta però di “metodologie strettamente sperimentali”, registra la commissione ecomafie. E “il progetto non è di bonifica vera e propria ma di messa in sicurezza”. Per questo, “si ritiene il progetto di bonifica non adeguato”.

REGIONE VENETO: “NON SONO SOLO QUI, LO DICE COMMISSIONE ECOREATI

La relazione sulla diffusione dei Pfas redatta dalla commissione bicamerale Ecoreati “mette in evidenza non solo che il Veneto non è l’unica Regione ad essere stata colpita dalle sostanze perfluoroalchiliche, ma che è stata l’unica a essersi mossa per prima per arginare il problema“. Lo afferma l’assessore veneto all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, commentando i contenuti della relazione. “Sono anni che lo ripetiamo: i Pfas sono diffusi in tutta Italia. Sembrava, e per questo è stata più volte e per molto tempo additata la nostra Regione, che il Veneto fosse l’unica Regione ad avere queste sostanze nocive, quasi che fossimo noi gli appestati e quelli colpevoli di aver inquinato l’acqua. Finalmente sta emergendo la verità: non solo il Veneto, ma anche altre Regioni settentrionali e non solo, stanno scoprendo di essere state colpite da queste sostanze. Alcune, inoltre, non lo sanno ancora in quale stato di salute si trovi il proprio territorio in quanto non si sono attrezzate adeguatamente per affrontare il monitoraggio”, continua Bottacin.

“Pare che, essere i primi, qui in Italia, sia solo uno svantaggio, almeno per la nostra esperienza, dove son tutti pronti ad accusare e denunciare prima ancora di approfondire il tema”, aggiunge, suggerendo una analogia con la situazione sanitaria legata alla pandemia, con il Veneto che “ha effettuato più tamponi preventivi e diagnostici” rispetto alle altre Regioni, e per questo è stato “oggetto di polemiche puramente strumentali” riguardo all’alto numero di positivi trovati. Ora, conclude l’assessore veneto, “servono urgentemente limiti di legge nazionali altrimenti le procure saranno in difficoltà ad affrontare tutte le denunce che emergeranno da qui in avanti”.

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