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Lo smart working ‘ci fa brutte’, non è sexy come dice Tezenis

Una riflessione sulla modalità di lavoro che sta prendendo piede in tempo di pandemia: null’altro che un lavoro ‘a casa’, privo di socialità, isolato e disaggregato, in una parola alienante

Pubblicato:20-01-2021 13:33
Ultimo aggiornamento:20-01-2021 13:33
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casa_vita domestica
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ROMA – Ha fatto scoppiare un bel vespaio di polemiche da parte di tante consumatrici indignate, la campagna pubblicitaria del noto marchio Tezenis che, per mostrare la propria linea di intimo sul canale Ig, ha presentato lo smart working incarnato nel corpo snello e sinuoso di Violeta Mangrinya con canotta e mini pantaloncino sexy, a cavallo del letto con pc, un filo di trucco e una posa certamente attrattiva. Chi racconta del proprio smart working, donne in testa, fa resoconti ben diversi: figli urlanti, incombenze domestiche che intralciano la tranquillità, invece dell’intimo una tuta felpata due taglie più grandi, senza trucco, pantofole e un’aspirapolvere appostata dietro la porta per ottimizzare il tempo tra una mail e un’altra. Un dramma poi se arriva un’improvvisa riunione su zoom o una call. Sarà vero che per molte lo smart working non ha la faccia sexy di Violeta, ma allora facciamo un passo in più e ammettiamo senza indugi che lo smart working non ci aiuta, non risolve e ci fa brutte. Non ci fa truccare, ci fa abbandonare i tacchi 12 cm, la routine della parrucchiera e della nail artist, ci fa mangiare troppo e male, non ci tiene dinamiche e non ci motiva all’acquisto di un capo di abbigliamento in più. Poche quelle che mantengono questi riti per mettersi al tavolo della cucina a lavorare. Il lavoro che suona così bene nell’inglese ‘smart’ è null’altro che un lavoro ‘a casa’, privo di socialità, isolato e disaggregato, in una parola alienante. E se vogliamo aggiungere un pizzico di commento estetico… in tuta non aiuta le donne, tanto più se non si è belle come Violeta.  

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