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VIDEO | Blitz tra Catania e Trapani, 23 arresti e sequestri per 20 milioni di beni

Dall'inchiesta è emersa, tra i reati contestati, anche l'aggravante di aver agito "al fine di agevolare il clan mafioso Mazzei"

Pubblicato:20-01-2020 11:54
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:52

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PALERMO – Blitz antimafia tra le province di Catania e Trapani. I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale etneo e la guardia di finanza stanno eseguendo una misura cautelare nei confronti 23 indagati: per dieci di questi è scattato il carcere, mentre per altri cinque i domiciliari. Per i restanti otto previste altre misure interdittive.

Questi i reati contestati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, a vario titolo: associazione mafiosa, associazione per delinquere, estorsione in concorso, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, falsità commessa dal privato in atto pubblico, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di scritture contabili.

Accuse aggravate dal fatto di avere agito “al fine di agevolare il clan mafioso Mazzei”, i cosiddetti ‘carcagnusi‘, e con il metodo mafioso. L’indagine riguarda anche una illecita commercializzazione di gasolio e presunte frodi sull’Iva: la guardia di finanza sta infatti eseguendo dei sequestri nei confronti della principale figura imprenditoriale coinvolta.


Gli accertamenti patrimoniali hanno consentito di tracciare beni sequestrabili per circa venti milioni di euro, tra cui quote societarie e titolarità di dieci imprese commerciali, otto fabbricati, un terreno, una moto e sei rapporti bancari.

I particolari dell’operazione, denominata ‘Vento di Scirocco’, verranno comunicati in una conferenza stampa che si terrà alle 10:30, nei locali della Procura di Catania, in viale XX Settembre. L’inchiesta, andata avanti tramite intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ha consentito di definire la struttura, le posizioni di vertice e i ruoli degli affiliati al clan dei Mazzei, “registrando – evidenziano gli investigatori – frizioni nelle dinamiche relazionali all’interno della famiglia mafiosa sia in relazione alla corretta gestione dei proventi derivanti dalle attività illecite, sia per dirimere i contrasti venutisi a creare tra due esponenti di spicco del sodalizio per assumere la leadership”.

I carabinieri, monitorando l’attività di Angelo Privitera, detto ‘Scirocco’, finito in carcere, hanno individuato nel negozio ‘Ideal Carne’, gestito dai fratelli Luciano e Pietro Lo Re, finiti anche loro in cella, quella che definiscono la “sede operativa del sodalizio”.

Lì si incontravano tutti i componenti del clan per discutere delle dinamiche interne e della gestione degli affari derivanti dall’usura e dalle estorsioni. Al centro delle discussioni ci sarebbe stato anche il contrasto tra Santo Di Benedetto, detto ‘Santo u panitteri’, e Mario Maugeri, detto ‘Mario Ammuttaporte’, per il riconoscimento della leadership all’interno del clan dei Mazzei.

In questo contesto, secondo i carabinieri, i proventi delle attività illecite venivano reimpiegati anche nella ‘World Games srl’, società con sede a Catania e operante nel settore delle scommesse online. L’inchiesta, inoltre, ha fatto emergere rapporti tra il clan e alcuni elementi della criminalità campana, oltre che con Francesco Burzotta, considerato dagli investigatori “soggetto orbitante nell’ambiente mafioso di Mazara del Vallo”, in provincia di Trapani: il contributo di quest’ultimo sarebbe stato “essenziale” negli affari riguardanti le frodi fiscali sui prodotti petroliferi.

Burzotta avrebbe assicurato “la stabilità” degli approvvigionamenti di carburante dal deposito mazarese della ‘Pinta Zottolo Spa’.

A scoprire il meccanismo, noto come ‘frode carosello all’Iva’, è stata la guardia di finanza: “Si realizzava – sostengono gli investigatori – attraverso la partecipazione reale e fittizia di più operatori commerciali che si frapponevano tra gli effettivi venditori e acquirenti con l’esclusivo scopo di capitalizzare il mancato versamento dell’Iva”.

La banda sarebbe riuscita a evadere il pagamento dell’imposta attraverso l’intervento di “falsi esportatori abituali” che avrebbero emesso dichiarazioni d’intento “non veritiere”, che consentivano agli stessi di acquistare da soggetti italiani carburante senza l’applicazione dell’Iva per poi rivenderlo nel territorio nazionale, invece che all’estero come previsto dalla legge, a vantaggio di imprese sleali che consapevolmente avrebbero incassato, tra i profitti illeciti, l’imposta mai versata.

L’esame della documentazione contabile e dei movimenti bancari, oltre che le dichiarazioni di alcuni testimoni, ha consentito alle fiamme gialle di tracciare nella frode carosello la partecipazione di “società cartiere”, cioè imprese prive di qualsiasi struttura, gestite da amministratori prestanome, che sarebbero stati “orchestrati” da Sergio Leonardi, anche lui tra gli arrestati, amministratore “di fatto” della ‘Lubicarbo srl’ presso cui giungeva il gasolio che veniva scaricato in un deposito di Augusta, nel Siracusano. I prodotti petroliferi movimentati con false dichiarazioni d’intento provenivano, fino al 2016, dalla ‘Pinta Zottolo Spa’ di Mazara del Vallo e successivamente, fino al 2018, da depositi fiscali e commerciali situati nelle provincie di Trapani, Palermo, Ragusa e Reggio Calabria. Nel complesso, il gasolio consumato in frode, secondo gli investigatori, è pari a oltre 5,7 milioni di chili, corrispondente a quasi sette milioni di litri, al quale corrisponde un’evasione di accisa di 4,2 milioni di euro e 1,6 milioni di Iva.

La guardia di finanza ha inoltre sequestrato il patrimonio di Leonardi, del valore ci dieci milioni di euro.

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