NEWS:

Ue-Africa, Manservisi (Commissione Europea): “La scommessa è sui giovani”

Dopo Abidjan: intervista al direttore della Cooperazione europea

Pubblicato:19-12-2017 09:30
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:00

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “Serve un approccio integrato” sorride Stefano Manservisi, numero uno della direzione generale della Commissione europea per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale (Devco).

Ex collaboratore di Romano Prodi quando il professore presiedeva l’esecutivo Ue, bolognese, si definisce “un burocrate”. Eppure ha conosciuto il mondo, affrontando i nodi difficili, alla guida della delegazione europea in Turchia o coordinando la direzione Affari interni della Commissione Ue.

In questa veste, per quattro anni, si è occupato di migrazioni. Ed è inevitabile che allora, con buona pace del “burocrate”, la sua lettura degli equilibri interni dell’Unione Europea e dei rapporti con l’Africa sia politica al cento per cento. Come quando con la DIRE parla di “approccio integrato”, seguendo il filo rosso che collega sviluppo e sicurezza e conduce poi ai giovani: proprio il tema del Summit Ue-Africa al quale ha partecipato in Costa d’Avorio il 29 e 30 novembre.


– Il vertice di Abidjan era dedicato ai giovani. Nella dichiarazione finale si riferisce di progetti “concreti” da presentare entro tre mesi proprio in quest’ambito. Eppure i media hanno raccontato quasi soltanto le proposte sulle crisi dei migranti e della Libia, a partire dalla “task force” congiunta Ue-Africa-Onu. Perché?

L’orrore di uomini venduti come schiavi mostrato dalla ‘Cnn’ ha colpito tutti, ma la questione libica è rimasta sullo sfondo. Il Summit si è concentrato anzitutto sulla necessità di riformare e di ‘upgrade’ le relazioni tra l’Ue e l’Africa. Si è discusso di investimenti, di giovani, di sicurezza, mettendo al centro l’esigenza di rinnovare e intensificare i rapporti. Il cuore del dibattito sono stati però proprio i giovani e il gap generazionale tra i due continenti. Tra 25 anni i giovani saranno la grande maggioranza della popolazione africana. Un tasso di disoccupazione elevato continuerà inevitabilmente ad alimentare l’emigrazione. Ma i giovani sono innovativi nello spirito. E su di loro bisogna subito investire, nella consapevolezza – emersa ad Abidjan – che l’Africa è un’opportunità. Poi, è chiaro, abbiamo discusso di temi settoriali; a cominciare dalle energie rinnovabili”.

– Nel documento conclusivo del vertice si parla di progetti concreti da presentare nell’arco di tre mesi. Può anticipare un’idea, una priorità?

“Non esistono idee geniali. L’Ue deve capire che l’Africa non è solo guerre e migranti che muoiono in mare quanto piuttosto un continente che si trasforma, condizionato da squilibri ma con riserve formidabili in termini di talenti e di energie rinnovabili. Investiamo, allora, per dare opportunità ai giovani. Ad esempio sostenendo le start up e la formazione professionale, anche con schemi di mobilità, e mettendo a disposizione attraverso il credito le risorse necessarie a realizzare le buone idee. Nell’arco di tre mesi avremo progetti concreti, a partire dalla componente delle energie rinnovabili e dalle strutture di interconnessione digitali, che saranno fondamentali. Durante il Summit poi è stato sottolineato che la formazione, gli ‘skills’, devono essere portati a un livello tale da creare occupazione. Poi c’è la politica…”

– Prego…

“Le gerontocrazie africane si devono rinnovare. I capi di Stato sono sempre più anziani, ad Abidjan lo abbiamo visto ancora una volta. Bisogna investire nella formazione e nell’istruzione dei giovani ma anche favorire un ricambio al potere, con un rinnovo generazionale. Come Ue, intanto, abbiamo messo sul tavolo 44 miliardi; altri ne metteremo”.

– In Italia è stato presentato un rapporto delle reti di ong Cini-Concord-Focsiv dal titolo ‘Partenariato o condizionalità dell’aiuto?’. La tesi, fondata sui casi di Niger, Libia ed Etiopia, è che parte delle risorse previste dal Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per l’Africa sia finita in progetti sotto il segno della sicurezza e della cosiddetta “esternalizzazione delle frontiere” e non invece in programmi di sviluppo. È un’analisi corretta?

“Ha più probabilità di far titolo e conquistarsi la prima pagina dei giornali ma non è vera. La realtà è differente. La maggioranza delle risorse, tra il 55 e il 60 per cento, vanno allo sviluppo, all’aiuto alle comunità, alla creazione di posti di lavoro e al rafforzamento delle autorità locali. Si è lavorato sul medio e lungo termine per aumentare la capacità delle istituzioni a essere presenti sui terreni decisivi della salute e dell’istruzione. Le cifre sono pubblicate sul sito del Fondo fiduciario. Spesso, poi, si parla del reintegro dei migranti irregolari. Bisogna sapere che quando scendono dalla scaletta dell’aereo si trovano in situazioni disperate. Sono respinti dalle comunità locali, non trovano più nemmeno una casa. Noi, questi migranti li prendiamo in carico. E non si tratta di ‘esternalizzazione delle frontiere’”.

Pensiamo alla Guardia di frontiera ad Agadez, in Niger. Ce ne occupiamo noi della Cooperazione allo sviluppo perché spieghiamo il rispetto dei diritti umani e insegniamo a distinguere tra migranti e trafficanti. Ad Agadez non c’è lavoro, la corrente elettrica manca 20 ore al giorno e l’aeroporto funziona solo sotto la sorveglianza dei militari. Se la rete dei trafficanti offre cento dollari al giorno a chi collabora è chiaro che fa nuove reclute. Noi spieghiamo, non solo ai poliziotti ma anche ai giovani, come combattere i trafficanti per evitare di cadere nella rete della loro economia. Poi c’è un altro aspetto. Circa il 30 per cento delle operazioni del Fondo fiduciario, ed è una stima prudente, sono affidate a ong”.

– E la Libia?

“Lavoriamo sempre più con l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, l’Unhcr e le ong che aiutano a creare condizioni affinché i migranti possano tornare indietro. Il flusso dei rientri dalla Libia oggi sta aumentando. In nove giorni dopo il Summit di Abidjan sono state trasferite 2mila persone. Entro fine anno raggiungeremo quota 15mila. E nei Paesi di origine dell’area subsahariana prenderemo in carico questi migranti”.

di Vincenzo Giardina, giornalista

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it