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Omicidio Parretta, confermato l’ergastolo per Salvatore Gerace

Secondo la Corte di Appello era capace di intendere e volere

Pubblicato:19-11-2021 16:40
Ultimo aggiornamento:19-11-2021 16:43

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ROMA – Salvatore Gerace era capace di intendere e di volere quando, il 13 gennaio 2018, uccise a colpi di pistola il giovane Giuseppe Parretta, nella sede dell’associazione ‘LibereDonne‘, fondata a Crotone dalla madre di Giuseppe, Katia Villirillo, per salvare le donne da violenza, tratta e prostituzione. Questa mattina, l’udienza di appello ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva già condannato Gerace all’ergastolo.

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Siamo soddisfatti per l’esito– ha dichiarato alla Dire Emanuele Procopio, avvocato di Katia Villirillo e dei fratelli di Giuseppe- Non è stato un risultato facile da ottenere, perché la Corte di appello ha riaperto l’istruttoria dibattimentale. Abbiamo sentito un altro testimone ed è stata fatta una consulenza tecnica sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato. Ma alla fine Gerace è risultato capace di intendere di volere al momento del fatto“.

Secondo il racconto dell’avvocato, anche questa mattina, durante l’udienza, Gerace ha continuato a dichiararsi innocente e ha attaccato la signora Villirillo e la sua difesa, “accusando i giudici di primo grado e gli avvocati di parte civile (me e la mia collega Jessica Tassone) di aver nascosto delle carte, e ha offeso anche Benedetta, la sorella di Giuseppe, accusandola di aver detto il falso”, racconta Procopio.

La Corte, però, ha confermato la sentenza di primo grado. Il consulente della Corte, analizzando tutta la documentazione clinica e il diario clinico del carcere, ha dichiarato che non c’è alcun elemento che propende per l’incapacità di intendere e di volere per Salvatore Gerace. L’infermità mentale, dunque, non è stata dimostrata. Un motivo di gioia e liberazione per Katia Villirillo, che al momento della lettura della sentenza si è sciolta in un pianto liberatorio. “La signora era molto in tensione- racconta ancora l’avvocato Procopio- perché l’imputato voleva quasi passare per vittima e far sembrare il figlio carnefice. Temeva un’eventuale modifica, che però sarebbe stata ingiusta”.

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