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Lopes: “Non amo i razzisti dilettanti e vi spiego perché”

Esce per Castelvecchi il libro del cronista originario della Guinea Bissau

Pubblicato:19-11-2020 11:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:36
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di Tommaso Meo

ROMA – “Non amo i razzisti dilettanti, preferisco quelli veri”: da non amo i razzisti dilettantiqueste parole, a prima vista paradossali, nasce il nuovo libro del giornalista Filomeno Lopes. Il volume, intitolato proprio ‘Non amo i razzisti dilettanti’, è in uscita oggi per Castelvecchi. Lopes, cronista per Radio Vaticana, attivista originario della Guinea Bissau, è già stato autore di diversi libri ma non aveva ancora trattato il tema del razzismo, come sottolinea in un’intervista con l’agenzia Dire, “anche se l’interesse c’è sempre stato e l’idea maturava da tempo”.

Quella di Lopes non è però una riflessione né politica né sociologica e neanche propriamente storica: seppure abbraccia tutte queste discipline l’approccio è quello dell’analisi filosofica. Lopes tenta di mostrare da dove arriva il “razzismo sistemico” nei confronti dei neri che attanaglia la società occidentale moderna. Lo fa spiegando la creazione di questo razzismo “in laboratorio fin dal XV secolo”. È in quel momento, secondo l’autore, che il colore bianco ha iniziato a simboleggiare le virtù legate agli europei e il nero i peccati degli africani. “Per costruire il mostro del nero – denuncia Lopes – hanno partecipato diverse scienze, fino all’eugenetica”. Secondo l’autore, questa concezione “ha avuto il suo apogeo nel periodo illuminista ed è diventata più di una cultura fino a influenzare un’intera civiltà”. Lopes spiega: “Ho invitato gli insegnanti a rileggere gli illuministi e i positivisti, da Hume a Montesquieu, per togliersi di dosso questo tipo di cultura razzista“. Nell’intervista si parla anche di Hegel. “Sosteneva che i negri non hanno un’anima e dormono nel buio dell’infanzia dell’umanità e per questo hanno bisogno delle virtù dei bianchi” annota Lopes. “E diceva che la schiavitù era tremenda ma che si trattava di una pedagogia“. Se chi teorizzava tutto questo era un razzista professionista, chi oggi si sente bianco solo perché ha la pelle più chiara sarebbe un “dilettante” perché “non sa di cosa parla”. “E nemmeno – sottolinea Lopes – conosce le presunte qualità che gli antenati degli europei attribuivano a questo colore”. Passando all’attualità, secondo lo scrittore, “anche chi grida ‘prima gli italiani’ non sa cosa dice”. Lopes sottolinea che “l’italiano non è mai esistito, così come il guineano puro” e che “le identità si costruiscono”. Il libro è, in questo senso, “una lettera aperta” ai giovani: “Sappiano di cosa stanno parlando – dice l’autore – se vogliono essere razzisti”. Secondo Lopes, anche inconsciamente il razzismo “è dentro la struttura di tutta la cultura europea”. L’Europa sarebbe affetta dalla “malattia eterna” del razzismo e dovrebbe “curarla”. “Serve però studiare questo fenomeno se lo vogliamo sradicare” avverte Lopes. “Non è chiudendo gli occhi che si risolvono queste cose”. Uno dei problemi, secondo l’autore, è che in Italia la gente nega il razzismo. “Così come non si accetta la colonizzazione italiana in Africa” evidenzia Lopes: “C’è stata ed è stata anche barbara”. La prospettiva non è però solo quella di una denuncia. Pagina dopo pagina ritorna un appello in positivo. “Bisogna dare gli strumenti ai giovani per vivere meglio il futuro” dice Lopes. “Il mio è un invito a comprendere”.


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