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Pd, Rosati: “A Bologna aria nuova, nato cantiere aperto a società civile”

Per il dem Antonio Rosati la tre giorni di Bologna ha segnato per il Pd "il ritorno alla riflessione e a un'empatia che mancava da tanto"

Pubblicato:19-11-2019 17:07
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:38
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ROMA – Un “grande cantiere aperto anche alla società civile”. Questo è stata la tre giorni di Bologna che ha segnato per il Partito democratico “il ritorno alla riflessione e a un’empatia che mancava da tanto”. A raccontare all’agenzia Dire “l’aria nuova” che si respirava è Antonio Rosati, membro dell’Assemblea nazionale del Pd. Ecco l’intervista:

– Si è appena chiusa a Bologna l’assemblea del Partito democratico, a cui lei era presente. Il Pd ha rinnovato lo statuto e lanciato le sue sfide. È soddisfatto di questo appuntamento?

“Ho seguito i tre giorni di Bologna e devo dire che l’impressione è stata di respirare finalmente aria fresca, nuova. C’erano tantissime persone, ma soprattutto tantissimi giovani. Grazie all’organizzazione di Gianni Cuperlo, si sono alternati interventi di studiosi, ricercatori, sindacalisti, imprenditori e anche uomini di Chiesa. Non sono mancate le critiche e questo è stato un bene, perché da Bologna è partita una costituente delle idee, fortemente voluta dal segretario Zingaretti. Il Pd è un partito che torna a discutere e a studiare. Da troppo tempo eravamo afoni, non riuscivamo più a trovare momenti per riflettere su una realtà profondamente cambiata. Il grande interrogativo di Bologna è stato proprio questo: come inverare le nobili conquiste della sinistra in un mondo profondamente mutato. In questo senso, in quei tre giorni si è inaugurato un grande cantiere aperto alle forze della società civile che ci possono aiutare a superare la nostra sfida: combattere le disuguaglianze con tassi di crescita molto bassi”.


– A chiudere la tre giorni bolognese, però, è stata una polemica del leader dei Cinque stelle, Luigi Di Maio, su Ius soli e Ius culturae. Il dialogo all’intero del Governo sembra ai minimi… Come uscirne senza rinunciare alle proprie idee?

“Premetto che ha già replicato il segretario Zingaretti. Io aggiungo che noi saremo fino all’ultimo minuto grandi baluardi di questo governo. Per il bene del Paese. Ma queste polemiche sono anche un po’ strumentali e penso che forse Di Maio fatichi a capire come siamo fatti. Per tre giorni a Bologna si è parlato di cento cose, dalla creazione della ricchezza al superamento delle disuguaglianze, dagli investimenti infrastrutturali ai trasporti fino al dissesto idrogeologico, con una particolare attenzione a quello che sta succedendo a Venezia. E poi la scuola, l’università e la sanità pubblica, senza dimenticare l’idea di protezione sociale per tanti lavoratori che stanno rischiando, come quelli dell’Ilva. Insieme a tutti questi temi centrali, il Pd si è posto anche alcuni ulteriori punti di riferimento, alcune scelte – come lo Ius soli – che non sono di sinistra, non sono di parte, ma sono semplicemente giuste. Basta osservare le centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze che già oggi stanno nelle nostre scuole, che fanno sport e che abitano naturalmente i nostri quartieri. Per questo quella di Di Maio è una polemica sbagliata: bisogna guardare la realtà del Paese e raccogliere il grido di questi circa ottocentomila giovani che sono italiani e che semplicemente vorrebbero avere una patria. E noi dobbiamo dargliela”.

– Alcune critiche, tuttavia, sono arrivate anche dall’area del centrosinistra e dallo stesso Pd, con alcuni esponenti che hanno definito troppo di sinistra le linee guida tracciate dal segretario. Ci sono ancora queste divisioni?

“Ho ascoltato Giorgio Gori e devo dire che il suo è stato un intervento molto misurato, intelligente. Ha ricordato che per combattere la disuguaglianza è necessario che la torta cresca, perché altrimenti è più difficile ridistribuire opportunità. Un discorso quasi ovvio per una forza socialdemocratica, di sinistra. E’ il grande dilemma del pendolo che ha investito la sinistra in Italia e in Europa negli ultimi 40 anni: oscillare dalla parte dei più deboli, e quindi teoricamente spostarsi più a sinistra, o ascoltare i ceti medi produttivi per garantire la crescita. Io non credo che siamo troppo di sinistra. Anzi, forse in questi ultimi anni abbiamo interrotto questa empatia, altrimenti il 4 marzo non avremmo subito la più grande sconfitta della nostra storia contemporanea. Dobbiamo guardare le forze produttive e contemporaneamente ridare voce a coloro che si sentono soli e spaventati. Non siamo soltanto i rappresentanti dei ceti deboli, che vogliamo tutelare, ma siamo un grande partito del lavoro. Questa è l’idea uscita con forza da Bologna. Siamo una forza che ha capito che in questa fase storica si deve prendere di petto la questione di una crescita possibile delle pari opportunità e di una redistribuzione della ricchezza. È tempo di ridisegnare i confini dello sviluppo economico e abbracciare anche un’idea di protezione sociale, che non è una parolaccia. Dobbiamo fermare questo pendolo nel mezzo, parlare ai tanti ceti produttivi del nostro Paese e ai milioni di lavoratori, di disoccupati e di ragazzi e ragazze in cerca di un futuro più certo. Ecco perché Bologna è stata davvero un momento importante: abbiamo lanciato un seme fecondo e raccolto i sorrisi di tanti giovani che finalmente stanno riscoprendo una funzione per riempire degnamente la propria esistenza”.

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