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Minori, Aip: “L’allontanamento da un genitore violento è utile per rielaborare”

Di Nuovo: "Spesso a provvedimenti non segue il dovuto accompagnamento psicologico"

Pubblicato:19-11-2019 09:46
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:37
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ROMA – “Quando si assiste a una violenza soprattutto da bambini, se non si e’ capaci di rielaborarne le motivazioni, quell’esperienza resta dentro come un modello e il bambino tendera’ a riprodurla in futuro. Se uno dei due genitori e’ abusante, e’ ovvio che il bambino va allontanato”. Sono le parole di Santo Di Nuovo, presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) ed esperto di psicologia giuridica in tema di famiglie e minori, che aggiunge: “Lo scopo dell’allontanamento dei minori dovrebbe essere proprio quello di evitare che il bambino assorba l’emotivita’ negativa del comportamento violento” del familiare, “che non capisce e non è in grado di elaborare”.

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Violenza assistita, allontanamento o tutela della bigenitorialita’. Ecco i temi che Di Nuovo affronta con l’agenzia Dire per approfondire le sfaccettature psicologiche legate all’universo del minore. Purtroppo uno dei drammi emergenti di queste pratiche e’ che spesso “si fa un provvedimento senza poi seguire il bambino con il dovuto accompagnamento. Come se questa cosa di per se’ risolvesse il problema”. Quando ci si chiede se sia necessario allontanare un bambino o un adolescente dal genitore violento, o se invece sia piu’ corretto conservare la bigenitorialita’ in ogni caso, Di Nuovo riflette che “non c’e’ una sola risposta corretta. Non si puo’ rispondere sempre si’ o sempre no. Bisogna tenere conto dell’eta’, della capacita’ di comprendere, di discriminare le situazioni”. 

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Il discorso sulla bigenitorialita’, infatti, “e’ molto maltrattato dai media, perche’ i genitori rimangono tali a prescindere dai loro rapporti di coppia- continua- Il problema, dunque, e’ organizzare la protezione del bambino”. Il tema, per questo, continua lo psicologo, “e’ ancora una volta la rielaborazione del rapporto con il genitore da cui si è allontanati, caso per caso. È un problema che esiste anche quando il genitore e’ il peggiore possibile, perche’ la sua immagine il bambino la mantiene dentro di se’, in ogni caso. E tutte le emozioni non rielaborate rimangono come una specie di traccia sotterranea”.


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Il distacco, pero’, non dovrebbe avvenire “tout-court, non ha senso. Dirgli ‘Da ora in poi non lo vedi più’ o, al contrario, ‘devi vederlo per forza’, non e’ la soluzione”. Bisogna affrontare “il perche’ di quell’allontanamento”, che tra le altre cose puo’ avvenire non soltanto da un genitore, ma “da un nonno, un fratello, un fratellastro o dal nuovo partner in una famiglia ‘ricostituita’”, aggiunge Di Nuovo. I bambini sono “le vittime di queste situazioni e talvolta bisogna anche comprendere il loro rifiuto verso uno dei genitori: ‘Non voglio fare gli incontri protetti. Non lo voglio vedere piu”, questi sono casi di automatismo emotivo abbastanza comuni tra i minori, che devono essere spiegati. Non va lasciato nulla di incompreso e trascurato”, precisa lo psicologo. Occorre ripartire, percio’, “dalla protezione del bambino sul piano sia fisico che emotivo. In alcuni casi quelle emozioni si scopriranno solo durante una eventuale psicoterapia in eta’ adulta”. Negli allontanamenti da uno dei due genitori, o da entrambi per cui il tribunale inserisce i bambini in comunita’, “sarebbe dunque sempre necessario un supporto psicologico”. Nelle comunita’, soprattutto, “dovrebbe sempre esserci una figura di riferimento che si prenda cura di questi bambini dal punto di vista emotivo, aiutandoli a comprendere cosa stia succedendo”, sottolinea l’esperto. 

L’ALLONTANAMENTO NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI

Di Nuovo entra poi nel merito diversificando la gestione dei casi di allontanamento in bambini e in adolescenti. C’e’ differenza in questo caso, per i bimbi, infatti, “l’assorbimento e’ automatico e in questo senso l’allontanamento serve proprio per dargli la possibilita’ di elaborare. Se il bambino e’ molto piccolo- continua il presidente Aip- l’elaborazione potra’ essere difficoltosa. Ma gia’ a 5 o 6 anni e’ possibile ragionarci, se sostenuto sul piano psicologico”. La differenza con il mondo adolescenziale, dunque, “e’ la capacita’ cognitiva- chiarisce subito il presidente Aip- perche’ per i bambini piccoli un problema ricorrente e’ rintracciabile nella confusione tra la fantasia e la realta’. In un ambito giudiziario questo fenomeno puo’ creare dei problemi perche’ non e’ sempre chiaro se il bambino, che e’ testimone a quell’eta’, scambi la fantasia con la realta’. È successo in molti casi- avverte l’esperto- ma man mano che il bambino cresce c’e’ la possibilita’ di avere un ragionamento, una verbalizzazione con se stessi anche di quello che sta succedendo”. Il bambino grande, dal canto suo, “ha un gruppo di riferimento che puo’ essere la scuola, la famiglia allargata in alcuni casi, la comunita’ e i gruppi di pari”. Di Nuovo vede quindi nell’adolescente “il cambiamento non soltanto nelle emozioni, ma nella possibilita’ di elaborarle in autonomia e quindi- conclude- aiutare un adolescente da questo punto di vista può essere più produttivo rispetto all’intervento con un bambino molto piccolo”.

di Camilla Folena

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