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Giornalista scappato dalla Mauritania adesso fa il bracciante a 15 euro al giorno

E' ospitato in Campania. Il suo collega rischia la pena di morte

Pubblicato:19-10-2017 17:36
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:48

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Nagi Ceikh Ahmed,

NAPOLI – Mohamed Ould M’Kheitir è cittadino onorario di Napoli dal dicembre 2016 ma ancora oggi si trova in un carcere della Mauritania. La Corte suprema del suo Paese l’ha condannato a morte tre anni fa per alcuni articoli e studi in cui analizza perché schiavitù e divisione in caste, alimentate dall’Islam, continuano a essere un’arma del potere in Mauritania.

In quello Stato non democratico del Sahara occidentale vige la Sharia e gli Harati, la casta al gradino piu’ basso della società, sono vittime ancora oggi di schiavitù e forti discriminazioni.


Mohamed ha scritto gran parte di quegli articoli insieme al suo miglior amico, Nagi Ceikh Ahmed, un giornalista mauritano laureato in Economia ospite di un Centro di Accoglienza Straordinaria in provincia di Napoli.

Frequenta abitualmente uno sportello degli immigrati in città, dove l’agenzia Dire l’ha incontrato per raccogliere la sua storia.

Nagi è scappato dal suo Paese nel 2016, dopo aver ricevuto continue minacce di morte.

“Per il Consiglio islamico chi contesta la figura del profeta o professa ateismo deve essere ammazzato“, racconta. Per il codice penale mauritano, infatti, “chiunque sia colpevole di Zendagha (un reato simile all’apostasia) sarà punito con la morte, salvo preventivo pentimento”, recita l’articolo 306. E lui, Nagi, in uno stato in cui vige la Sharia, aveva scelto andare contro lo status quo nonostante la sua mia famiglia appartenga alla casta Zawaya, una delle più potenti in Mauritania.


“All’università ho iniziato a frequentare assemblee di organizzazioni di sinistra e 10 anni fa ho messo in discussione tutto quello in cui credevo fortemente. In Libano ho potuto acquistare libri su Darwin, sul marxismo, libri che in Mauritania sono messi al bando”.

Nagi voleva condividere quei libri e ha deciso di studiarli con il suo amico Mohamed. Insieme hanno messo su quel blog “ma io usavo uno pseudonimo – dice -. Ho continuato a condividere i nostri articoli, anche quando il mio amico è stato condannato a morte. Poi la situazione è precipitata”.

Nagi Ceikh Ahmed,In Mauritania “lo spazio per l’esercizio dei diritti alla libertà d’espressione – scrive Amnesty International in un report sui diritti umani del Paese nel 2017 – si è ridotto nel momento in cui giornalisti e difensori dei diritti umani sono stati arrestati e perseguiti da una magistratura politicizzata”.

Lo pseudonimo di Nagi è stato coperto dall’anonimato per troppo poco tempo “la stampa vicina al governo – racconta – ha denunciato i legami tra me e Mohamed. Ho ricevuto minacce di morte continue”. Nagi non può fare rientro nel suo Paese, anche lui rischia di essere condannato a morte per apostasia e ha paura che qualche fanatico, spinto all’azione dalle fatwe diffuse su Facebook, possa ucciderlo. “Io non ho deciso di lasciare la Mauritania ma sono stato costretto a prendere una decisione: sono fuggito ed entrato in Senegal”.

Lì, da clandestino, Nagi ha preso contatti con Amnesty International, l’Ong che tuttora si batte per salvare la vita di Mohamed Ould M’Kheitir e liberarlo dalla sua prigionia nelle carceri mauritane. “Il Comune di Napoli – spiega Nagi – mi ha invitato a partecipare a un evento sui diritti umani, per salvare Mohamed. Il 20 dicembre 2016 ho preso un aereo per Roma dal Senegal e una volta arrivato a Napoli ho chiesto asilo politico in Italia”.

Non conosce bene l’italiano e ci parla in arabo “qui ci sono tanti problemi”, spiega. Il giornalista ha visitato molti Cas della Campania, centri d’accoglienza per stranieri dove vengono inviati i richiedenti protezione che arrivano nel nostro Paese, “e sono convinto che l’unica possibilità di lavorare, per molti ragazzi come me, è fare gli schiavi nelle campagne”.

Ogni richiedente asilo accolto nei Centri d’Accoglienza ha diritto a un pocket money dal valore di meno di 80 euro al mese, diaria che, testimonia Nagi, “spesso viene erogata in ritardo e per questo molti migranti sono vittime di caporalato nelle campagne del napoletano”.

Anche lui si è ritrovato a fare il bracciante in un campo agricolo e ci mostra i segni del lavoro sulle mani. “Si lavora dalle 6 del mattino fino alle 6 o alle 8 di sera. Le condizioni sono molto, molto, molto dure e la paga va dai 15 ai 20 euro al giorno. Il meccanismo con cui si recluta la forza lavoro è semplice: un uomo arriva con la sua auto nei pressi delle rotonde degli stradoni di provincia che spesso si trovano vicino ai Cas. Lì, ogni giorno all’alba – racconta Nagi -, viene caricata in auto una massa di rifugiati che aspetta solo che il tramonto arrivi il più presto possibile”.

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