ROMA – Ad Haiti, le violenze contro i civili non si placano. Come riporta la stampa locale, uomini armati hanno ucciso una quarantina di persone – tra cui anche dei bambini – a Labodri, un villaggio di pescatori a nord di Port-au-Prince, tra l’11 e il 12 settembre. L’eccidio ha ricevuto anche la dura condanna di Amnesty International che, denunciando l’incapacità de Consiglio presidenziale di transizione nel proteggere i cittadini, ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza a prendere misure a protezione dei civili.
LE AGGRESSIONI DEI RIBELLI
Ma gli episodi di violenza non si esauriscono qui: i ribelli hanno anche assaltato un blindato della polizia e dato fuoco alla centrale di Liancourt, causando la morte di un autista e il ferimento di due agenti. L’obiettivo di tali aggressioni, oltre a rafforzare la presa sulla capitale, sarebbe quello di estendere il controllo nella regione del Basso Artibonite, fino all’Altopiano Centrale, a est della capitale. Raggiunte da caos e assalti anche alcune zone alle porte di Port-au-Prince, che in precedenza sembravano essere state risparmiate: i media puntano il dito contro la coalizione di bande armate nota come Viv Ansanm, e di altre gang alleate, che avrebbero voluto così vendicare l’uccisione di uno dei vertici del gruppo. Eppure, il loro leader, Jimmy Chérizier – noto come “Barbecue” – solo pochi giorni fa lanciava un appello all’1,3 milioni di sfollati dalla capitale a tornare nelle proprie case. Un invito a cui vari politici hanno risposto, suggerendo alla popolazione di non fidarsi.
NON SOLO VIOLENZA, POCO CIBO E VIE D’ACCESSO ALLA CAPITALE BLOCCATE
Haiti, tra i paesi più poveri dell’America Latina, subisce le conseguenze di una grave escalation tra bande armate e forze di sicurezza, che ha causato solo nel 2025 migliaia di vittime, feriti e sfollati. La popolazione però non è esposta solo alle violenze, ma anche alla mancanza di cibo, in quanto le vie d’accesso alla capitale sono bloccate e si fatica a trovare prodotti alimentari di base. In questo quadro, i servizi essenziali come la sanità faticano ad essere erogati. A ciò si aggiunge l’allarme dell’Unicef, il fondo Onu per l’infanzia, secondo cui “il 50% dei membri delle bande armate è costituito da bambini”. I minori sarebbero costretti a imbracciare le armi e combattere direttamente negli scontri, mentre altri sono sfruttati in diverse manzioni domestiche. L’arruolamento forzato dei minori, denuncia ancora Unicef, sarebbe inoltre aumentato del 700% nel primo trimestre del 2025, rispetto allo stesso periodo del 2024. Per rispondere all’emergenza, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) e il Fondo Centrale delle Nazioni Unite per la Risposta alle Emergenze (Cerf) hanno lanciato un’iniziativa di emergenza nei dipartimenti del Nord e del Centro di Haiti per fornire assistenza essenziale alle famiglie più vulnerabili e insicure dal punto di vista alimentare, alle prese con l’aumento degli sfollamenti, a cui si aggiungono deportazioni dalla vicina Repubblica Dominicana e dagli Stati Uniti – per effetto delle nuove politiche anti-migranti dell’amministrazione Trump – e il peggioramento degli shock climatici.
DROGA, TRATTA DI ESSERI UMANI E RICICLAGGIO
Con l’obiettivo di pacificare la situazione, un anno fa è entrata in funzione su mandato Onu una forza multinazionale, guidata e formata in larga parte da personale militare del Kenya, tuttavia questo mese il presidente di quel Paese, William Ruto, ha annunciato il ritiro dei suoi uomini. L’instabilità di Haiti però non crea problemi solo alla sicurezza e alla tenuta economica dello Stato caraibico, ma anche agli Stati Uniti e ai paesi dell’intera regione, poiché al rafforzamento delle bande armate corrisponde un incremento nei traffici di droga, tratta di esseri umani e riciclaggio di denaro. Per questa ragione il governo di Washington, insieme a Panama, a fine agosto ha presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu una bozza di risoluzione per la creazione di una forza multinazionale per contrastare le gang, in alternativa a quella kenyana in via di conclusione. Un’iniziativa a cui anche Amnesty ha espresso sostegno.







