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Dall’Ungheria all’India i governi spiano i giornalisti

Inchiesta di Forbidden Stories rilanciata da Guardian e Le Monde

Pubblicato:19-07-2021 12:39
Ultimo aggiornamento:19-07-2021 12:52

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ROMA –  “La democrazia globale è sotto attacco cibernetico“: lo denunciano i giornalisti di Forbidden Stories, un’organizzazione francese senza scopo di lucro che lancia l’allarme sull’uso da parte di almeno una ventina di governi del mondo di un software con cui “spiare” gli smartphone di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani. Si tratta del programma di spionaggio ‘Pegasus’, prodotto dall’azienda israeliana Nso, uno spyware che secondo l’azienda viene venduto ai servizi di intelligence e alle forze armate degli Stati per contrastare le reti del terrorismo internazionale ma che in realtà verrebbe impiegato per tenere sotto controllo anche dissidenti e giornalisti d’inchiesta.

L’INCHIESTA

L’inchiesta, a cui hanno aderito 80 giornalisti internazionali, è iniziata quando fonti anonime hanno fatto pervenire a Forbidden Stories una lista di 50.000 numeri di telefono raccolti da Pegasus. Una volta verificata anche grazie alla collaborazione di Amnesty International, questa lista ha permesso di scoprire che almeno 180 di questi numeri appartengono a giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani in Paesi guidati da regimi autoritari, come Arabia Saudita e Azerbaigian, che democratici, come India e Messico.

All’inchiesta internazionale hanno aderito una dozzina di testate internazionali tra cui il britannico Guardian e il francese Le Monde, che da ieri stanno rilanciando report che puntano il dito contro almeno una ventina di Paesi tra cui figurano Ungheria, Arabia Saudita, Messico, Marocco, Azerbaijan, India, Kazakistan, Emirati Arabi Uniti, Ruanda e Bahrein.


Tra i giornalisti tenuti sotto cybersorveglianza, ci sono sia noti reporter d’inchiesta locali che cronisti di testate internazionali tra cui il Financial Times, l’emittente Cnn, il New York Times, France 24, Economist, Associated Press e Reuters.

COME VENGONO SPIATI I GIORNALISTI

Il meccanismo di spionaggio è semplice: sul telefono dell’interessato arriva un pacchetto di dati che permette di installare lo spyware all’insaputa del proprietario. Da quel momento, tramite il software, è possibile “rubare” numeri di telefono, messaggi, foto e video. Pegasus dà anche la possibilità di attivare a distanza la telecamera e il microfono dell’apparecchio. Lo smartphone diventa insomma una fonte di informazioni con cui spiare il lavoro e la vita privata e di relazioni di quella persona.

Come tengono a evidenziare le testate internazionali, la sola presenza del numero di telefono nel database di Pegasus non significa necessariamente che quella persona sia stata spiata, tuttavia questo dato diventa rivelatore del fatto che ci sono governi pronti a tenere sotto controllo la vita professionale e privata di persone che con la criminalità o il terrorismo internazionale non hanno nulla a che fare.

Gli analisti di Forbidden Stories e del Security Lab di Amnesty international hanno tuttavia potuto confermare che alcuni giornalisti d’inchiesta sono stati realmente tenuti sotto controllo. Tra questi figura Umar Khalid, leader indiano della Democratic Students’ Union in carcere dallo scorso anno. Nel corso del processo, l’accusa ha presentato documenti che erano nel telefono personale dell’imputato senza spiegare in che modo vi fosse entrata in possesso.

Dall’inchiesta emerge che sono stati tenuti sotto sorveglianza anche i famigliari e i colleghi di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso all’interno dell’ambasciata saudita di Istanbul nel 2018. È stato spiato per ben tre anni invece il telefono di Khadija Ismayilova, una delle più importanti reporter dell’Azerbaigian per le sue inchieste atte a rivelare corruzioni e abusi del presidente Ilham Aliyev.

Il governo di Baku è accusato di aver messo sotto controllo almeno 48 cronisti. Ismayilova ha già scontato 18 mesi di reclusione e attualmente vive in esilio in Turchia, e quando gli analisti di Forbidden Stories le hanno comunicato che, nonostante abbia lasciato il suo Paese, le autorità continuavano a controllarla attraverso il suo smartphone, ha commentato: “Mi sento in colpa per i messaggi che ho inviato e per le fonti che mi hanno inviato informazioni, pensando che i sistemi di messaggistica criptata fossero sufficienti (a tutelarci). È stata colpita la mia famiglia, le mie fonti e tutte quelle persone che mi hanno confidato i loro segreti”.

Spicca poi la presenza nella lista di Pegasus del numero di Cecilio Pineda Birto, un giornalista messicano assassinato nel 2017. Il suo smartphone non è mai stato ritrovato e quindi non è stato possibile confermare la presenza dello spyware, tuttavia sussiste il sospetto che il mandante del suo omicidio lo abbia spiato per scoprire a quale indirizzo inviare il sicario. Il Messico è in cima alla classifica per numeri posti sotto controllo – 15.000 sui 50.000 totali. In Europa, è accusata l’Ungheria di Viktor Orban di aver usato Pegasus per controllare i giornalisti investigativi, sebbene il governo abbia smentito.

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Infine, c’è il Marocco con 10.000 numeri in lista tra cui compaiono i nomi di 38 reporter. Il caso del noto giornalista d’inchiesta Omar Radi ha permesso ad Amnesty international nel 2019 di denunciare per la prima volta l’uso da parte dei governi di Pegasus. Radi, mesi dopo quel report, è stato arrestato e attualmente si trova in carcere con l’accusa di aver minato la sicurezza nazionale e violenza sessuale.

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