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Camorra, condannato a 227 anni boss torna libero e premedita agguato

A finire in carcere anche la compagna di Rosario Giugliano, Teresa Caputo, portaordini del ras mentre si trovava dietro le sbarre, e il suo figliastro, Alfonso Manzella (figlio della Caputo), in arte Zuccherino, cantante neomelodico

Pubblicato:19-04-2021 14:22
Ultimo aggiornamento:19-04-2021 15:40

prigione
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NAPOLI – Era stato condannato in via definitiva a scontare oltre 227 anni di reclusione (poi cumulati in 30 anni), ma era stato scarcerato nel marzo dello scorso anno e sottoposto al regime della libertà vigilata. Era quindi tornato nel suo comune, Poggiomarino in provincia di Napoli, dove voleva affermare l’autonomia di un clan autoctono, pur consapevole di doversi scontrare con cosche rivali operanti sullo stesso territorio. Rosario Giugliano, 60 anni, è la figura al centro delle indagini delle Dda di Napoli e di Salerno e che hanno portato oggi all’arresto di 26 soggetti, gravemente indiziati, a vario titolo, di aver fatto parte di due distinte organizzazioni criminali. Rosario Giugliano, detto ‘O minorenne, è accusato dalla procura di Salerno di tentato omicidio pluriaggravato da premeditazione e dal metodo mafioso e di detenzione illegale di più armi comuni da sparo. Secondo le risultanze investigative l’uomo, pur in regime di semilibertà, aveva deciso di pianificare nuove attività criminali e per farlo e si era procurato un luogo, una mansarda situata in una zona tranquilla di Pagani (Salerno), adibendola a base operativa del clan. In quel luogo sarebbe stato progettato il tentato omicidio di Carmine Amoruso, un collaboratore di giustizia di Poggiomarino che aveva deciso spontaneamente di uscire dal programma di protezione e di tornare stabilmente nell’agro nocerino sarnese. L’agguato ai suoi danni è materialmente avvenuto il 13 aprile scorso nei pressi del cimitero di San Marzano sul Sarno. Esplosi, in pieno giorno, 14 colpi di pistola contro l’autovettura a bordo della quale viaggiava Amoruso e contro la vittima stessa, sfuggita alla morte solo perché una delle due pistole usate durante l’agguato si era inceppata. Del gruppo di fuoco faceva parte anche Nicola Francese, 31enne di Pagani, raggiunto insieme a Giugliano da un decreto di fermo di indiziato di delitto per gli stessi reati.

Secondo la Dda di Salerno, che provvederà a sottoporre gli elementi raccolti alla valutazione del Gip di Nocera Inferiore per la convalida del fermo, l’eliminazione di Amoruso era stata pianificata da Giugliano sia per assicurarsi il controllo territoriale dell’agro nocerino-sarnese, sia perché l’ex collaboratore di giustizia era ritenuto un “ostacolo” per gli interessi economici di Giugliano.

A finire in carcere anche la compagna di Rosario Giugliano, Teresa Caputo, portaordini del ras mentre si trovava dietro le sbarre, e il suo figliastro, Alfonso Manzella (figlio della Caputo), in arte Zuccherino, cantante neomelodico che, attraverso le proprie canzoni, reclutava sodali e lanciava invettive verso forze dell’ordine e magistratura. Questi due arresti rientrano nell’ambito dell’inchiesta Dda di Napoli sulla criminalità organizzata poggiomarinese. In manette, oltre ai membri del clan capeggiato da Rosario Giugliano, anche gli esponenti della cosca riconducibile a Antonio Giugliano, detto O’ Savariello, luogotenente del clan Fabbrocino detenuto nel carcere di Nuoro e boss del clan storicamente già riconosciuto sul territorio di Poggiomarino. Il gruppo criminale era attualmente retto da Giuseppe Giuliano Giugliano, figlio di Antonio. Non ci sono invece parentele tra Rosario e Antonio Giugliano, ma si tratta solo di un caso di omonimia. Storico sicario del clan Galasso, Rosario Giugliano era tornato già nel 2016 a Poggiomarino, fruendo di alcuni permessi prima di ottenere la libertà vigilata. Desideroso di appoggi criminali, aveva stretto alleanze con altri clan: i Batti di San Giuseppe Vesuviano e i Ferraiuolo di Pagani mentre era più volte venuto allo scontro con il clan Antonio Giugliano e suo figlio.

La rivalità tra le due cosche si evince da una serie di episodi criminali avvenuti sul territorio, come una ‘stesa’ con colpi esplosi ad altezza uomo in pieno centro a Poggiomarino per danneggiare una caffetteria. L’episodio, avvenuto nel 2017, sarebbe stato determinato dalla volontà di ridimensionare la figura criminale di Giuseppe Giuliano Giugliano. Ad occuparsi degli affari del clan anche Cristian Sorrentino, tra i promotori e organizzatori dell’associazione che sovrintendeva le attività illecite nel campo delle estorsioni e del commercio di stupefacenti, Antonio e Salvatore Iervolino, controllori del commercio di droga, Giovanni Orefice, Giuseppe Nappo e Domenico Gianluca Marano, costituenti il braccio armato del clan.


Il traffico di stupefacenti era possibile grazie a una fitta rete di contatti per lo spaccio di cocaina e di marijuana con i clan Formicola di Napoli (zona di San Giovanni a Teduccio) e dei Batti. Le cessioni di narcotico avvenivano mediante una fitta rete di pusher anche nella Piana del Sele e nel Cilento.

La droga, custodita da donne e da minori, veniva smerciata grazie alla collaborazione di persone ritenute insospettabili, da Giuseppe Mingo, guardia giurata, a Giuseppe Del Regno, titolare di una pizzeria, e Antonietta Cioffoletti, addetta in un’impresa di pulizie. Il clan di Giuseppe Giuliano Giugliano è risultato operativo nel campo dell’approvvigionamento di sostanze stupefacenti grazie ai contatti con la ‘Ndrangheta in Calabria, in particolare con la ‘ndrina dei Pesce-Bellocco della piana di Gioia Tauro, dalla quale si riforniva di marijuana attraverso Giuseppe Elia Giosafatte. La droga veniva poi trasportata e custodita da incensurati insospettabili come Francesco De Michele e Adriano De Filippo, i quali utilizzavano anche furgoni di copertura per la distribuzione del caffè per movimentare lo stupefacente. Il clan si occupava anche di riciclaggio di denaro sporco all’interno di numerose aziende anche al di’ fuori dei confini regionali, con la gestione, ad esempio, di un supermarket in Umbria. Ricostruiti una serie di investimenti, anche immobiliari, ritenuti sproporzionati ai redditi dichiarati. Oltre alle 26 misure cautelari eseguite tra Napoli, Salerno, Imperia, Cosenza, Ancona e Reggio Emilia è stato infatti emesso anche un decreto di sequestro preventivo relativamente a beni mobili (7 autoveicoli e tre motocicli), immobili (14 appartamenti e otto terreni), rapporti finanziari (88 rapporti finanziari e otto polizze assicurative), imprese (un ramo d’azienda, 5 quote di capitale sociale, beni aziendali e strumentali di 13 società), per un valore complessivo stimato in circa 50milioni di euro. 

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