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Mali, diritto delle donne alla terra: una legge per cominciare

Approvato un disegno di legge che prevede l’assegnazione di terre statali a coltivatrici e cooperative tutte al femminile

Pubblicato:19-03-2017 12:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:01

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ROMA  – Una piccola quota, il 10 per cento. Ma anche il segnale di un impegno. In Mali è stato approvato un disegno di legge che prevede l’assegnazione di terre statali a coltivatrici e cooperative tutte al femminile.

La prima bozza, si legge sull’ultimo numero della rivista ‘La Cooperazione italiana informa’, risale al 2015. E ora, dopo mesi di consultazioni con i rappresentanti della Federation nationale des femmes rurales (Fenafer) e di altre organizzazioni della società civile, il testo è giunto all’esame del parlamento. “Il dibattito è stato molto partecipato e nel complesso i risultati sembrano positivi” spiega Flavio Signore, responsabile locale dei progetti per la sicurezza alimentare di Iscos, ong italiana in prima fila in Mali.

“Con la nuova legge alle donne dovrebbe essere garantito accesso esclusivo al 10 per cento dei terreni statali pagando un affitto da 65 mila franchi Cfa l’anno, l’equivalente di 105 dollari”.


Il testo è un compromesso. Riguarda le proprietà pubbliche senza entrare nel merito del diritto privato e di famiglia. “Il peso della tradizione resta forte, addirittura schiacciante nei casi di vendita o eredità” sottolinea Signore: “Chi perde il marito perde spesso anche la terra, che va alla famiglia del defunto seguendo la linea di trasmissione maschile”.

Dinamiche che Iscos, in sinergia con altre due ong, Terranuova e Re.te, sta cercando di contrastare. Nel 2015, con i finanziamenti della Cooperazione italiana, sono stati avviati progetti che sostengono allo stesso tempo i diritti delle donne e la sicurezza alimentare. Una delle priorità è la distribuzione di semi, concimi e attrezzature indispensabili per rendere più efficienti le cooperative femminili. Attori chiave: sono loro a produrre le farine a base vegetale consegnate nei Centres de santé communautaire delle regioni dove la malnutrizione colpisce di più.

A evidenziare il nesso tra lotta contro disparità di genere e contrasto alla povertà è anche il governo di Bamako. “Le coltivatrici producono il 70 per cento del cibo del Mali eppure non hanno alcuna indipendenza economica” sottolinea Oumou Bah, ministro per la Promozione delle donne, dei bambini e delle famiglie. Convinta che sia necessario valorizzare l’agricoltura femminile, con la tradizionale cura degli orti e produzioni alternative ai cereali, dalle melanzane ai fagioli ai pomodori, anche per arricchire la dieta. Temi decisivi in Mali, dove la malnutrizione compromette la crescita di un bambino su quattro, ma non solo. Lo confermano i responsabili di Pasneeg, un progetto di formazione, advocacy e sensibilizzazione per la parità di genere in Senegal, finanziato pure dalla Cooperazione italiana. “La legge prevede che le coltivatrici accedano alla terra per successione come gli uomini ma purtroppo viene applicata di rado e le pratiche consuetudinarie restano dominanti” spiega Anna Maria Pinto, una delle animatrici dell’iniziativa. “Secondo gli ultimi studi, in Senegal solo il 18 per cento delle donne dice di aver ottenuto la terra in eredità a fronte di un dato maschile superiore al 68 per cento”.

Non è solo una questione di principio. “Se alle donne fossero riconosciuti gli stessi diritti degli uomini, nel mondo ci sarebbero 150 milioni di affamati in meno” calcola Neven Mimica, commissario europeo per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale. Riflessioni e numeri rilanciati dalle agenzie specializzate dell’Onu.

Secondo l’ultimo studio dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo le donne costituiscono il 45 per cento delle braccia per i lavori nei campi. Un dato che in Africa sale fino al 60, e che va messo a confronto con altre statistiche: solo in un caso su cinque gli appezzamenti sono proprietà di coltivatrici, che pure lavorerebbero in media 13 ore in più la settimana rispetto agli uomini. Ma la parità di genere, soprattutto, conviene. “Le donne destinano fino al 90 per cento dei loro guadagni alla famiglia, in particolare per la nutrizione, la salute e l’istruzione” sottolinea José Graziano da Silva, il direttore generale della Fao: “Investire in un uomo significa investire in una persona, puntare su una donna vuol dire far crescere una comunità”. Una convinzione che diviene più forte, pagina dopo pagina, sfogliando un rapporto del Programma dell’Onu per lo sviluppo (Undp). Dal 2010 le disparità di genere sono costate all’Africa ogni anno 95 miliardi di dollari, l’equivalente delle risorse necessarie per colmare un altro divario, pure decisivo nella lotta contro la povertà: quello delle infrastrutture.

di Vincenzo Giardina, giornalista

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