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Nell’anno della pandemia cala l’occupazione delle donne, non succedeva dal 2013

È quanto emerge dal Bilancio di genere 2021 che la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra, presenterà in Parlamento nei prossimi giorni

Pubblicato:19-01-2022 16:21
Ultimo aggiornamento:19-01-2022 16:22

coronavirus lavoro ufficio
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ROMA – Nel 2020, anno di diffusione della pandemia e dei suoi effetti economico-sociali, il tasso di occupazione femminile, dato dal rapporto tra le donne occupate e la popolazione femminile in età lavorativa (15-64 anni), è sceso al 49% dopo che nel 2019 aveva superato per la prima volta la soglia del 50% e dopo sette anni di incrementi dal valore di 46,5% registrato nel 2013.È quanto emerge dal Bilancio di genere 2021 che la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra, presenterà in Parlamento nei prossimi giorni. Cresce così ancora il divario tra tasso di occupazione femminile e maschile che arriva a 18,2 punti percentuali.

Questa battuta d’arresto dell’occupazione femminile ha ripercussioni soprattutto laddove si registrano le maggiori criticità del mercato del lavoro italiano, che si riferiscono ai divari intergenerazionali e territoriali. Sono le donne più giovani, infatti, a registrare sia i dati più bassi sull’occupazione sia la riduzione più rilevante nell’anno della pandemia. Nel 2020 il tasso di occupazione delle donne tra i 15-34 anni è pari al 33,5%, mentre nel 2019 era pari al 35,9% (-2,4 punti percentuali) e nel 2008 al 42,5% (-9 punti percentuali). I tassi di occupazione per donne tra i 35 e i 44 anni e tra i 45-54 anni si attestano, invece, al 61,7 e al 61,8% nel 2020, in riduzione rispetto al 2019 quando erano pari al 62,4 e al 62,3%. La crisi economica a seguito della diffusione del Covid ha avuto quindi evidenti impatti di genere sul mercato del lavoro. Mentre nella crisi economica iniziata nel 2008 fu colpita principalmente l’occupazione maschile, nel 2020 sono soprattutto le donne a pagarne le conseguenze. Tra i fattori sono da evidenziare il mancato rinnovo dei contratti a termine per una quota significativa delle lavoratrici e la segmentazione orizzontale del mercato del lavoro, cioè che le lavoratrici sono impiegate maggiormente in alcuni settori economici mentre gli uomini sono impiegati in altri settori. Le donne sono occupate di più in settori come il commercio, nel sociale, nella ristorazione e nel turismo che sono stati oggetto delle misure di chiusura o di restrizione per il contenimento della diffusione del virus. I due fattori sono anche collegati: la riduzione dei contratti a termine riguarda tutti i settori economici, ma con maggiore forza ha riguardato i comparti con una maggiore occupazione femminile.

1,8 MLN DI LAVORATRICI COSTRETTE AL PART TIME

Per il 60% delle lavoratrici con il contratto part-time, la riduzione dell’orario è una condizione subìta e non una scelta. La quota di donne costrette al part time è passata, tra il 2019 e il 2020, dal 60,8 al 61,2% contro una media Ue del 21,6%. Anche in questo caso la forbice è molto ampia: in termini assoluti sono 1.866.000 le donne con contratto part-time involontario contro 849 mila uomini. E’ quanto emerge dal Bilancio di genere 2021 che la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra, presenterà in Parlamento nei prossimi giorni.


PANDEMIA HA AMPLIATO DIVARI GENERE

L’analisi dei divari tra uomini e donne evidenzia come la crisi generata dalla pandemia abbia avuto effetti differenziati in base al sesso”. Lo dice la sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra che nei prossimi giorni presenterà in Parlamento il Bilancio di genere edizione 2021 relativo all’esercizio finanziario 2020 dello Stato. “Diversamente, rispetto alle crisi precedenti- spiega Guerra- l’impatto di quella pandemica è stato particolarmente negativo sulle donne: si è tradotto non solo in una significativa perdita di posti di lavoro in settori dominati dalla presenza femminile, ma anche in condizioni di lavoro peggiori, in una accresciuta fragilità economica e in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro del passato”. Dei 128 indicatori utilizzati nella relazione al Parlamento sull’analisi del bilancio dello Stato secondo una prospettiva di genere, i più rilevanti in questa edizione sono proprio quelli sull’occupazione e sulla conciliazione dei tempi di vita.

Per la prima volta dal 2013 la curva del tasso di occupazione femminile scende: nel 2020 è al 49 per cento. Particolarmente critico è il dato relativo alle donne giovani (33,5%) e a quelle residenti nel Sud del Paese (32,5%). Cresce ancora il divario tra tasso di occupazione femminile e maschile che arriva a 18,2 punti percentuali. “Avevamo faticosamente superato la soglia psicologica del 50% nel tasso di occupazione femminile e con la pandemia siamo rovinosamente scivolati indietro – spiega la sottosegretaria Guerra – per altro senza che si sia ancora riusciti a recuperare il terreno nonostante la ripresa economica”. Il dato sull’occupazione femminile è tanto più grave se viene letto in confronto con la media europea che si attesta al 62,7%, con un divario di genere pari a 10,1 punti percentuali. Né studentesse, né lavoratrici. Né in cerca di un titolo di studio né di un’occupazione. Sono le cosiddette Neet che nel 2020 sono cresciute passando dal 27,9% del 2019 al 29,3 dell’anno successivo contro una media Ue femminile del 18 per cento. Venendo poi ai dati sul part-time involontario, la quota di donne costrette ad accettare un orario ridotto è passata, tra il 2019 e il 2020, dal 60,8 al 61,2% delle occupate part-time contro una media Ue del 21,6 per cento. Anche in questo caso la forbice è molto ampia: in termini assoluti sono 1.866.000 le donne con contratto part-time involontario contro 849mila uomini.

A pagare di più sono le donne con figli in età prescolare: il tasso di occupazione delle madri è del 53,3%, mentre quello delle donne senza figli il 72,7%. Il tasso di occupazione delle donne con prole è quindi il 73,4% di quello delle donne senza figli con un peggioramento di quasi l’1% rispetto al 2019. Per le donne più giovani (25-34 anni) questo rapporto si riduce al 57,5 per cento.

“Sono numeri drammatici – prosegue Guerra – che evidenziano una discriminazione nella discriminazione: l’aggravarsi della situazione delle madri, soprattutto quelle più giovani, dimostra, come se ve ne fosse ancora bisogno, che al di là della retorica del sostegno alla maternità, nel nostro Paese figli e lavoro continuano a essere largamente inconciliabili”. Indicativo è anche il forte incremento della quota di donne che ha fatto ricorso allo smart working nel corso del 2020 (16,9%) con un aumento di 15,3 punti percentuali rispetto all’1,3% del 2019. Più contenuto, sebbene rilevante, il ricorso al lavoro agile da parte degli uomini: dall’1,5% del 2019 si è balzati al 12,8 per cento.

A parlare la lingua dell’assenza di condivisione dei carichi familiari all’interno delle mura domestiche ci sono anche i dati Inps sui beneficiari dei congedi Covid: i 300 mila minori interessati sono stati presi in carico per il 79% dalle madri e per il 21% dai padri. Questo dato va letto insieme a quello dei congedi parentali: qui assistiamo a un miglioramento della quota di padri beneficiari che, nel periodo 2011-2020, è cresciuta dal 10,8 al 22,3 per cento. “Il carico di lavoro domestico e di cura- dichiara la sottosegretaria- grava ancora per il 62,8% sulle spalle delle donne nonostante la quota gestita dagli uomini sia cresciuta di 9,1 punti in dieci anni”. Il Bilancio di genere compie una classificazione delle spese differenziandole tra neutrali, sensibili e indirizzate a ridurre le diseguaglianze. “Anche il Bilancio di genere sul 2020 propone una riclassificazione delle spese del Bilancio dello Stato in una prospettiva di genere- conclude Guerra- Possono essere classificate come direttamente indirizzate a ridurre le diseguaglianze solo lo 0,56% delle spese totali, in aumento rispetto allo 0,26% del 2019 proprio in ragione degli interventi attivati nel periodo Covid a favore del lavoro di cura, baby-sitter, congedi parentali e per assistenza alle persone con disabilità”.

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