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Due donne alla guida dell’Istituto Mario Negri

E' recente la nomina di due donne, Raffaella Giavazzi e Ariela Benigni, alla guida del coordinamento delle attività di ricerca

Pubblicato:18-12-2018 11:12
Ultimo aggiornamento:18-12-2018 11:12
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chimica laboratorio
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E’ recente la nomina di due donne, Raffaella Giavazzi e Ariela Benigni, alla guida del coordinamento delle attività di ricerca dell’Istituto Mario Negri, fondato da Silvio Garattini nel 1963. E’ un evento di rottura in Italia. Inizia così Maria Felice Pacitto, membro del Comitato DireDonne, il suo articolo sulle diseguaglianze di genere in ambito scientifico.  

Il mondo scientifico- chiarisce infatti Pacitto- non è indenne dai meccanismi della diseguaglianza di genere. Secondo la relazione dell’Unesco “Verso il 2030”, le donne rappresentano solo il 30% dei ricercatori e mano a mano che si sale nei gradi di responsabilità, in questo settore, le donne diminuiscono. Raffaella Giavazzi e Ariela Benigni si sono entrambe laureate a Milano ed entrambe si sono specializzate all’estero per poi ritornare in italia  a fare ricerca farmacologica presso l’Istiituto Mario Negri di  Milano. Una nomina quella di Giavazzi e Benigni che si somma a quella di Annalisa Pastore, prima donna docente ordinaria di Scienze alla Normale di Pisa.

Da anni si lamenta come in Italia- continua l’articolo- poche siano le donne ad occupare i vertici del comando e quelli dell’attività di ricerca scientifica. Negli ultimi anni, infatti, è soprattutto nella pubblica amministrazione che le donne sono aumentate in ruoli dirigenziali nei  ministeri, nelle regioni ma anche nel privato a fronte di una diminuzione degli uomini.


Ma non sarà possibile cambiare rotta- sottolinea l’autrice- se non si allarga la base che porta le donne ad essere presenti ed emergenti nella ricerca scientifica, il che significa se non aumenta significativamente il numero delle ragazze che scelgono facoltà scientifiche e , dunque,  si pongono nella prospettiva di accedere alle professioni una volta appannaggio  dei maschi.  Le cose, comunque, stanno cambiando. Sono fatti come la nomina di Giavazzi, Benigni, Pastore, che segnano una crescita della consapevolezza e dell’emancipazione, da parte anche degli uomini, e che motivano la voglia ad impegnarsi e crescere. Ci stiamo allontanando dal pregiudizio secondo il quale le donne sono più adatte  a facoltà umanistiche piuttosto che a quelle scientifiche. Pregiudizio che veniva sostenuto nel passato anche dall’idea che esse aprivano a professioni compatibili con la maternità e con i cosiddetti lavori di cura. E sono ormai lontani i tempi in cui le donne, poche, potevano accedere al mondo della scienza solo in modo ancillare, in quanto sorelle, figlie o mogli di grandi scienziati.

Ricordo un aneddoto che mi riguarda direttamente. Quando frequentavo il liceo, il mio professore di matematica e fisica (grande professore ma non libero da pregiudizi) – ricorda Maria Pacitto – organizzò un corso di fisica sperimentale  per la classe che frequentavo incuriosito dal vedere gli esiti di un corso frequentato solo da femmine (all’epoca c’era una rigida separazione dei sessi). Oggi le cose stanno cambiando e le donne si stanno aprendo sempre più al respiro della vita pubblica. E ci aiuta in questo senso anche la psicologia: Winnicott ci ricorda che la madre è solo “sufficientemente buona”, non deve, cioè, dare tutto ai figli, una parte la deve riservare per sé. Certo rimane sempre nello sfondo il problema dell’equilibrio tra l’impegno nella vita privato e quello nel mondo del lavoro. Ma questa è questione complessa che meriterebbe un’ampia discussione.

Il pregiudizio relativo alle differenze di genere nelle abilità e nelle prestazioni scientifiche è stato duro a morire. Se ne è occupata, ovviamente, anche la ricerca scientifica la quale ha indagato sulle competenze femminili in matematica. Una ricerca degli anni’70 (Maccoby,1974) mostrava come fino alla scuola  elementare non vi fossero differenze di prestazione tra i due sessi. Ma dall’età di dodici-tredici anni in poi le prestazioni dei maschi risultavano mediatamente migliori di quelli delle femmine e questo divario rimaneva stabile anche negli studi successivi. Ma già ricerche successive (Hyde, 1990,1995)- sottolinea l’autrice nel suo contributo- segnalavano un quasi completo superamento di questo dato e che piccole differenze minime rimanevano nel problem solving.

Secondo i ricercatori – dice ancora Maria Felice Pacitto, membro del Comitato DireDonne, nel suo articolo sulle diseguaglianze di genere in ambito scientifico – questa minima differenza era dovuta al fatto che, generalmente, le ragazze avevano frequentato un numero inferiore di corsi avanzati di matematica, fisica e chimica. Ricerche attuali mostrano che le differenze di prestazione in matematica tra maschi e femmine si sono azzerate. E questo è stato possibile anche grazie all’evoluzione delle aspettative dei genitori e dei docenti nei confronti, rispettivamente, delle figlie e delle allieve, le quali perciò hanno nuove opportunità per sviluppare i loro talenti. Le ragazze, una volta, erano scoraggiate dall’intraprendere studi scientifici perché troppo impegnativi ed in contrasto con il naturale approdo della donna alla maternità e alla cura della famiglia. Erano tempi in cui le famiglie iscrivevano le figlie all’Istituto magistrale e i maschi al Liceo classico: il liceo scientifico stentava ancora a decollare.  Erano tempi in cui, generalmente, si apriva alle donne la strada dell’insegnamento magari nella scuola materna ed elementare. 

Tipica la frase in uso all’epoca : “la maestra è una seconda mamma”. Eccezionale era approdare all’insegnamento nei licei. L’approdo all’insegnamento determinò massicciamente l’apertura delle donne al lavoro intellettuale. Di questo passaggio, fondamentale per l’emancipazione femminile, si è detto, ancora, poco. Tornando al tema centrale del nostro discorso, sembrerebbe che le aspettative e gli stereotipi negativi- conclude nell’articolo per DireDonne Maria Felice Pacitto- abbiano un ruolo determinante nelle prestazioni delle ragazze, come hanno mostrato ampiamente alcune ricerche (Cadinu, Maas, 2005). Pregiudizi che agiscono anche nella valutazione dei lavori scientifici delle donne. Motivo questo che spiega anche la scarsa assegnazione di Nobel a donne scienziate. In sintesi, le donne sono ancora poco presenti nel mondo scientifico non perché prive di capacità ma perché prive di quelle opportunità necessarie a svilupparle e succubi, quando queste capacità ci sono, di stereotipi negativi.

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