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L’attivista kenyano da Sharm el-Sheik: “Dalla Cop27 una speranza sul ‘Loss and damage'”

Paul Kaluki, ambientalista e co-fondatore della ong Kean, parla con la Dire a poche ore dalla conclusione del summit sull'ambiente

Pubblicato:18-11-2022 17:26
Ultimo aggiornamento:18-11-2022 17:26
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Kenya_Cop27
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Foto presa dal profilo Twitter della Afrika Youth Caravan

ROMA – In cima alle speranze della società civile presente alla Cop27 che termina oggi in Egitto c’è il raggiungimento di misure concrete per il finanziamento alle politiche di “loss and damage”, quei fondi che i Paesi in via di sviluppo chiedono alle nazioni ad alto reddito come risarcimento e come sostegno per affrontare le conseguenze irreversibili di un riscaldamento climatico che hanno contribuito in minima parte a generare. All’agenzia Dire lo dice da Sharm El-Sheikh l’ambientalista kenyano Paul Kaluki, co-fondatore del Kenya Environmental Activists Network (Kean), un’organizzazione nazionale che mette insieme diversi attivisti che lottano per la difesa dell’ecosistema e la sostenibilità.

Kaluki, 29 anni, riprende uno dei temi che ha segnato tutto il dibattito che ha portato alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (Cop27), cominciata il 6 di questo mese e che si concluderà nelle prossime ore. Il concetto di Loss and damage, figlio del principio di “responsabilità comuni ma differenziate” (Common but differentiated responsibilities, Cbdr), è stato introdotto ufficialmente nei suoi documenti per la prima volta dall’Onu al Summit per la terra di Rio de Janeiro del 1992, la prima conferenza mondiale sull’ambiente dei capi di Stato e di governo, e parte dalla constatazione che i Paesi più poveri pagano le conseguenze dell’inquinamento prodotto da quelli più ricchi.


C’è attesa per il documento finale, risultato di oltre una settimana di negoziati fra i rappresentanti delle varie organizzazioni multilaterali e dei vari Paesi, fra i quali il blocco dei G77 che rappresenta i Paesi emergenti e in via di sviluppo. Il tema del Loss and damage, nonostante la grande pressione dei Paesi del “sud” del mondo, è stata inserito in agenda solo all’ultimo.

Da un’analisi del quotidiano britannico Guardian della bozza finale del testo, resa nota ieri dal governo egiziano, emerge che la comunità internazionale riconosce di essere “profondamente preoccupata dai costi finanziari” degli effetti dei cambiamenti climatici. Dal documento però non si evince una linea definitiva rispetto al tipo di strumento da predisporre per finanziare i Paesi in via di sviluppo per affrontare questi costi.

Resta il nodo della creazione di un “fondo” voluto dal G77. Rispetto a questo c’è però da registrare un’apertura dell’Unione Europea, annunciata dal vice presidente della Commissione Ue Frans Timmermans. Bruxelles, così come la maggior parte dei Paesi più ricchi, si era sempre opposto a finanziare le misure per le “perdite e i danni” irreversibili provocati dai cambiamenti climatici tramite un fondo.

Secondo il Guardian comunque, resta “poco probabile” che questo punto venga risolto nella Dichiarazione finale. Kaluki, invece, ribadisce che “ci aspettiamo che i leader mondiali annuncino finanziamenti per le politiche di ‘loss and damage'”.

Un altro tema, sottolinea il giovane attivista kenyano, è quello della tutela della biodiversità. “La Cop15, la conferenza dell’Onu sulla biodiversità, è in dirittura di arrivo”, dice l’attivista rispetto al vertice che si terrà a Montreal dal 7 al 19 dicembre. “Per questa ragione ci aspettiamo che i leader mondiali arrivino a delle conclusioni rilanciabili nel Framework sulla biodiversità globale post-2020 a cui si lavorerà in Canada”, prosegue l’ambientalista in riferimento al documento che vuole tracciare le linee guida per invertire la tendenza nella perdita della biodiversità e raggiungere una condizione di “armonia con la natura” entro il 2050.

Il Kean co-fondato da Kaluki ha preso parte a diverse iniziative nel corso della Cop27, da un panel sul ruolo della difesa della natura nel combattere i cambiamenti climatici a una sessione organizzata nell’ambito dello Youth day, il giorno dei giovani ambientalisti che si è tenuta la settimana scorsa.
C’erano timori sulle possibili pressioni sugli attivisti da parte del governo del presidente Abdelfattah al-Sisi, accusato da numerose ong locali e internazionali di aver arrestato migliaia di dissidenti politici negli ultimi anni, 60mila dal 2013 secondo Human Rights Watch. “L’accoglienza nella ‘Green zone’, l’area aperta a tutti, è stata all’insegna dell’inclusività e dell’apertura. Siamo riusciti anche ad accedere alla Blue zone, lo spazio ristretto ai rappresentati dei governi, e non abbiamo subito alcun tipo di pressione o minaccia”, afferma Kaluki. La società civile, conclude, “ha potuto partecipare a queste due settimane di lavori in modo signficativo”.

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