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Pubblico ‘vero’ alle recite dei detenuti, l’Emilia-Romagna ci prova

Il provveditore Gloria Manzelli: "Facciamo tanto ma possiamo fare di più, consentendo la partecipazione di spettatori esterni"

Pubblicato:18-11-2022 15:14
Ultimo aggiornamento:18-11-2022 15:14

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BOLOGNA – Il progetto del “teatro in carcere” viene coltivato con successo e da anni in tutti gli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna, o quasi, ma ancora manca un tassello: la partecipazione vera e propria del pubblico, senza distinzione con gli spettacoli ‘normali’. Ne parla e suggerisce di tentare una svolta Gloria Manzelli, provveditore regionale (Emilia-Romagna e Marche) dell’amministrazione penitenziaria con una lunga esperienza nel settore. Intervenendo nell’ambito della seconda edizione del festival Trasparenze di Teatro carcere, intesa come giornata di studio “Dei delitti e delle scene” sulle prospettive dei progetti in ballo, Manzelli spiega: “A livello nazionale sono attivi 127 laboratori teatrali in 75 istituti penitenziari, intesi non solo come realtà consolidata di studio e nuove prospettive ma come una vera e propria espressione culturale, a pieno diritto inserita nel percorso di recupero e reinserimento sociale. In Emilia-Romagna le carceri che ospitano queste attività sono otto su 10, con una copertura comunque totale o quasi. Non è poco. A mio giudizio- rilancia tuttavia il provveditore- dobbiamo fare ancora molto, da parte nostra, per creare spazi giusti e incentivare attività. Ad esempio, consentendo anche la partecipazione di un pubblico esterno”, quindi non solo costituito da altri detenuti o familiari delle persone che recitano, “pagante o meno: questo lo si potrà decidere in un secondo momento“. E tutto questo, raccomanda Manzelli, “proprio per promuovere quella collaborazione tra carcere e territorio su cui tanto insiste l’ordinamento penitenziario. Del resto, l’esperienza quotidiana ci dice che è questa la chiave di volta per davvero far diventare un carcere ‘un quartiere della città’, con la città che a sua volta si fa carico del carcere“. 

Più sull’attività del teatro in carcere, ricorda appunto il provveditore: “Recitare non facile, così come non lo è mettersi in gioco con colleghi ed eventualmente, un domani, con il pubblico. Ma tutti i dati sono confortanti, sull’effettiva ‘trasformazione’, anche se non è un termine molto appropriato, degli stili di vita delle persone. Diverse persone poi, una volta espiata la pena, trovano lavoro ‘a tema’ fuori, e non solo in attività di corredo dell’attività scenica come l’allestimento delle luci o la falegnameria”. Nel frattempo, il teatro (in) carcere cresce, in tutti i sensi. Come spiega Cinzia Cazzoli, responsabile regionale dello Spettacolo dal vivo, “la Regione, con diversi suoi assessorati in campo, sostiene il progetto dal 2011, in base alla legge 13 sullo spettacolo dal vivo che prevede programmazioni triennali”, in grado quindi di dare più respiro e possibilità alle singole attività proposte: dal budget iniziale di 30.000 euro “si è saliti nel 2015 a 50.000 e poi, dal 2019, a 60.000. Del resto, il progetto via via è cresciuto ed oggi costa di più, complessivamente attorno a quota 120.000 euro“. Condivide e punta tutto sulle “narrazioni teatrali” Palma Mercurio, direttrice della casa circondariale di Forlì e con varie altre esperienze analoghe in Emilia-Romagna e in altre regioni: “Dal mio punto di vista di comparsa in fondo alla scena, da dietro le quinte, osservo gli attori nella loro vita quotidiana, ascolto il lavapiatti che mentre lavora si ripassa la parte. Dei miei 25 anni di ‘galera’, ho imparato che il teatro è la cosa più importante che si fa in carcere, dove davvero si costruisce e si ricostruisce qualcosa”.

Mercurio cita una storia di una detenuta di Bologna di qualche anno fa: “Siamo riusciti a farla uscire dal carcere prima che morisse, questa anzitutto è la cosa che più conta. Una volta mi ha detto, citandomi Umberto Eco: ‘Dottoressa, io ho vissuto tante vite. Sono quelle di tutti i personaggi che ho interpretato’. Era una figlia della buona borghesia bolognese, i cui genitori avevano una gioielleria sotto le Due torri. Lei aveva incontrato la tossicodipendenza e ha distrutto la sua famiglia, che si è impoverita per lei. Però, quando recitava, era una regina, era la protagonista e io conservo la sua foto tra i miei ricordi”.


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