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FUKUOKA (Giappone) – Un’occasione per conoscersi meglio, un incubatore di collaborazioni, un momento di incontro e di scambio per sviluppare gli affari ma non solo, anche per rinsaldare e rilanciare rapporti che riposano su una relazione antica e profonda tra due Paesi come Giappone e Italia. Il Nishinippon business forum è tutto questo e anche qualcosa di più, una consolidata consuetudine per la comunità degli affari italo-nipponica. La quinta edizione si è tenuta giovedì scorso a Fukuoka, in Kyushu.
Il forum economico, ospitato nella Tenjin Sky Hall, sede del quotidiano ‘Nishinippon Shimbun’, tra i primi per diffusione in Giappone e in Asia – oltre 900.000 copie giornaliere – è la riunione annuale dell’omonimo gruppo di lavoro, coordinato dalla Japan Italy Economic Federation (JIEF) che si tiene dal 2013 con lo scopo di rafforzare la collaborazione tra i due iconici Paesi. L’intento è quello di fornire una stretta interazione tra decisori di alto livello e costituire un osservatorio stabile sulle dinamiche economiche in atto, un evento che riunisce, solo su invito, istituzioni e imprese giapponesi e italiane, oltre a ospiti internazionali e alla stampa. Quest’anno, in particolare, la DIRE ha seguito da vicino l’iniziativa.
Nel quinto Nishinippon business forum di Fukuoka l’attenzione si è concentrata sulle relazioni tra Roma e Tokio, anche in vista dell’auspicata finalizzazione (attesa per il 2018) del Japan Europe free trade agreement (Jefta), un trattato di libero scambio fra Unione europea e Giappone.
L’intenzione è quella di rimuovere tutta una serie di ostacoli agli scambi reciproci, barriere tariffarie e non tariffarie: oltre ai dazi anche i costi di adeguamento tra norme internazionali e nazionali che da soli rendono tra il 10% e il 30% più costose le esportazioni verso il paese nipponico, che a sua volta impone dazi elevati su alcuni prodotti, tra i quali alcuni ‘campioni’ dell’export italiano, ad esempio dell’agroalimentare.
Tokio, a sua volta, potrebbe avvantaggiarsi dell’abolizione di tariffe Ue sull’import di prodotti giapponesi come le auto e i pezzi di ricambio (e infatti qualcuno definisce il Jefta il trattato “cheese vs. cars”).
Per avere un’idea delle opportunità in ballo, Bruxelles valuta che verrebbero rimossi dazi per oltre un miliardo l’anno, tenendo conto che inoltre ogni miliardo di export in più vale sui 14mila posti di lavoro in Europa. C’è poi un interesse comune e dichiarato: dare un segnale forte contro il protezionismo in una fase nella quale dall’altro lato dell’Atlantico si alzano muri di ogni genere.
Del Jefta si è parlato nella tavola rotonda che ha aperto i lavori del Nishinippon business forum.
Dopo il saluto di Daniele Di Santo, presidente della Japan Italy Economic Federation, l’ambasciatore d’Italia a Tokyo, Giorgio Starace, ha segnalato come ci si trovi in “una fase di ripresa e di slancio, con i tassi di crescita italiani stimati sopra le previsioni”, per cui a fronte di “un export dall’Italia verso il Giappone che ha fatto segnare un +18,3% sul 2016” è indispensabile “trarre vantaggio dal Jefta e anche dalle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020”.
Infatti, sottolinea Starace, il Jefta “è un traguardo con un’importante valenza storica e politica”, per cui c’è “l’impegno dell’Italia in Europa per portarlo a termine”. Ma non si tratta solo di relazioni bilaterali import-export, segnala il rappresentante dell’Italia in terra nipponica, in ballo c’è anche l’opportunità “di triangolazioni per partecipare insieme a gare pubbliche in Paesi terzi, in Asia soprattutto, ma anche in Usa e Africa e, solo per fare un esempio, nel settore ferroviario”, che vede i nostri due Paesi quali vere eccellenze. Un richiamo al valore del trattato è giunto anche da Yoshitake Matsumoto, direttore generale della Bank of Japan-Fukuoka, che ha segnalato i “rischi geopolitici di una politica economica in mano statunitense”.
Guardando alla floridità dell’economia giapponese, che macina record spinta dalle ‘tre frecce’ della Abenomics del primo ministro Shinzo Abe (stimoli fiscali, politica monetaria accomodante, riforme strutturali), e ai buoni risultati, anche nel turismo dall’Europa, della regione del Kyushu, Matsumoto ha avvertito: “se l’America starnutisce il Kyushu prende il raffreddore e anche l’Europa”.
Si è detto dell’agroalimentare: in questo settore il Jefta potrebbe rappresentare per noi italiani un punto di svolta. Infatti se i consumatori giapponesi apprezzano sempre di più i nostri prodotti, il Giappone impone tariffe doganali elevate: del 30-40% sul formaggio, del 38,5% sulle carni bovine, del 15% sui vini (nel Paese siamo secondi solo alla Francia), fino al 24% sulla pasta e al 30% sulla cioccolata.
Ecco, se si sommano questi costi a quelli non tariffari, si capisce l’impatto potenziale di un trattato che li rimuova (senza passi indietro sulle tutele: l’Ue chiede al Giappone di riconoscere 205 IGP, tutela riconosciuta anche alle eccellenze nipponiche).
Le opportunità? Una maggiore penetrazione dei nostri prodotti sui mercati del Sol levante, da sempre apprezzati e con prospettive tutte da costruire e innervare in ampi spazi di crescita.
“Crediamo che la relazione tra gli agricoltori che rappresentiamo e l’insieme dei consumatori a livello mondiale possa dare solo effetti positivi”, ha detto in un saluto video al Nishinippon business forum Secondo Scanavino, presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, e pensando al trattato tra Europa-Giappone “crediamo negli accordi di libero scambio perché riteniamo che le regole possano essere condivise e garantite solo in presenza di accordi. Crediamo- ha proseguito- in una prospettiva di scambi e puntiamo su vino, olio, sui nostri formaggi e l’ortofrutta trasformata. Sono quindi sicuro che si consoliderà una relazione molto positiva”.
Intanto la Cia, che riunisce 900mila tra coltivatori diretti e imprenditori agricoli, è già ‘in campo’, è il caso di dire, e infatti “in luglio abbiamo avviato un percorso con la Japan Italy Economic Federation e abbiamo ospitato alcuni ospiti giapponesi che hanno potuto conoscere i nostri prodotti e produttori”, ha spiegato Scanavino, percorso che ha portato alla sottoscrizione di un protocollo di collaborazione.
Insomma, la relazione tra Giappone e Italia, due Paesi così lontani ma così simili, non potrà che beneficiare di uno scambio più libero e fluido, così come la nostra economia e tra gli altri (moda, lusso, autoveicoli, macchinari) anche il nostro settore agroalimentare.
L’iniziativa della Japan Italy Economic Federation crea un ambiente il più possibile favorevole alla crescita reciproca, e “forti dei risultati concreti che da sempre seguono alle nostre riunioni, dei 13 tra memorandum e accordi operativi firmati, e degli oltre 1.500 presidenti e top executives coinvolti, anche quest’anno investiremo ancora maggiori energie nel post forum- ha spiegato alla DIRE Daniele Di Santo, presidente della Japan Italy Economic Federation- badando anzitutto ai risultati concreti e alla cura dei rapporti creati tra una edizione e la successiva, con lo spirito costruttivo e ambizioso che ci accompagna fin dalla prima riunione del 2013”.
Tutto ciò “senza perdere di vista lo scenario globale che ci circonda e ci influenza, con le incertezze politiche e le criticità che conosciamo”, ha proseguito il presidente della federazione italo-nipponica, “ora più che mai, con i segnali di stabile ripresa economica e la solidità commerciale che caratterizza entrambi i paesi, è necessario contribuire a rafforzare le relazioni ponendo particolare attenzione al tema degli investimenti e al contatto diretto tra aziende, al quale vogliamo portare il nostro modesto contributo da un’area geografica (il Kyushu, ndr) che rappresenta in termini di Pil oltre il 10% del Giappone, il che equivale all’intero Pil di Paesi come Belgio, Turchia o Svizzera”.
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