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Paolo Di Paolo: “In ‘Lontano dagli occhi’ ho cercato di capire come la letteratura riempie i vuoti della vita”

Lo scrittore presenta alla Dire il suo nuovo romanzo, pubblicato da Feltrinelli, e svela una parte di sé che ancora non aveva mai raccontato

Pubblicato:18-10-2019 07:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:50

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ROMA – “Scrivendo questo libro ho cercato di capire come la letteratura riesce a riempire i vuoti delle nostre vite”. Con queste parole lo scrittore Paolo Di Paolo, in una conversazione con l’agenzia Dire, racconta la nascita della sua ultima opera Lontano dagli occhi (Feltrinelli), in cui racconta la storia di tre coppie, nella Roma di inizio anni Ottanta. C’è Luciana, che lavora in un giornale che sta per chiudere e che ama un uomo che lei chiama l’Irlandese per via dei capelli rossi. C’è la diciassettenne Valentina, che va alle superiori ed è convinta che da grande farà la psicologa. Appena si è accorta di essere incinta, ha smesso di parlare con Ermes, il ragazzo con il quale è stata per qualche mese e che adesso fa l’indifferente. C’è Cecilia, che vive fra una casa occupata e la strada, ma una sera torna da Gaetano: non vuole nulla da lui, se non un ultimo favore.

Da dove nasce questa storia?


“I sei personaggi del libro sono arrivati come fossero persone di famiglia. In effetti ho scritto questo romanzo come se li inseguissi per Roma. Li ho visti scendere da un autobus, svoltare un angolo, camminare in mezzo agli altri. Pedinandoli per la città, racconto la loro trasformazione da figli a genitori. E’ vero che niente ci accomuna come l’essere figli. In qualche modo il rapporti con chi sta alle nostre spalle è decisivo”.

Come si inserisce la tua storia personale?

“Nella parte finale del libro mi sono in messo in gioco, ho tirato fuori una zona oscura della mia vita per cercare di capire come riempire quel vuoto. Rispetto ad altri libri mi sono messo in gioco emotivamente e questo ha giustificato l’operazione, ma non so ancora se ha un senso scrivere romanzi…”.

Cosa vuoi dire?

“So che qualcuno alzerà il sopracciglio, ma ogni volta vorrei misurare la necessità di un romanzo. Io mi sono chiesto trenta quaranta volte, mentre scrivevo, perché lo stavo facendo, e soltanto mentre scrivevo mi sono reso conto che stavo riempiendo un vuoto che mi riguardava. Oggi scrivere un romanzo senza porsi questa domanda in modo martellante, non è più sufficiente. E’ necessario un investimento emotivo e conoscitivo in più, come se ogni volta dovessimo giustificare a noi e al lettore l’apparente naturalezza che è pubblicare un romanzo”.

Perché hai scelto gli anni Ottanta?

“Volevo evocare la spensieratezza di quegli anni, in particolare l’estate dell’83 – che coincise con l’uscita di canzoni come ‘Tropicana’ e ‘Vamos a la playa’, ma anche la vittoria dello scudetto della Roma – con fatti tragici come l’uccisione del giudice Chinnici, la scomparsa di Emanuela Orlandi, ma anche il primo crollo della Democrazia cristiana e la nascita del primo governo Craxi. Ho giocato su questo contrasto”.

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