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Mense scolastiche, solo 1 bimbo su 10 mangia tutto

Le tariffe più care in Emilia Romagna: si superano i mille euro all'anno

Pubblicato:18-10-2016 09:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:11

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mensa-ciboROMA  – Il cibo è di buona qualità, la pulizia è adeguata, ma gli ambienti sono troppo rumorosi e non proprio accoglienti.

Troppo poco diffuse le indagini sulla qualità percepita dagli studenti e l’unico strumento di partecipazione e controllo a disposizione delle scuole, ossia le Commissioni mensa, restano, ad oggi, poco presenti e inascoltate.

Due bimbi su tre amano mangiare a scuola, ma solo uno su dieci dice di finire tutto quello che viene servito.


Dal punto di vista strutturale, inoltre, le mense non brillano: più di una su tre non ha impianti antiincendio ed elettrici adeguati, una su dieci è fatiscente, una su cinque non è abbastanza spaziosa, solo la metà risulta accogliente e ben arredata.

Senza tralasciare che quasi una scuola su quattro è del tutto priva di un locale mensa.

SOLDI (1)Sulle tariffe poi emergono notevoli discrepanze fra Nord e Sud del Paese e, in generale, una media annua di 700 euro a famiglia, poco meno di 80 euro mensili, non appare sostenibile per molti nuclei familiari. Emilia Romagna la regione più cara (con oltre 1000€ l’anno), Calabria la più economica (500€). Tutte questioni, dalla percezione della qualità al costo della mensa scolastica, che finora sembrano rimaste inascoltate scatenando proteste, spesso anche estreme come quelle che hanno portato alla ormai nota vicenda del ‘pasto da casa’. Sono questi alcuni dei dati e dei punti di vista emersi oggi nell’ambito di “Mensa a scuola: costi, qualità e…nuove prospettive?”, evento promosso da Cittadinanzattiva.

I dati fanno riferimento a due indagini svolte dall’organizzazione: una che ha coinvolto sperimentalmente le mense di 79 scuole di 13 Regioni, per raccogliere, tramite 221 indicatori, dati osservabili e dati percepiti su qualità, sicurezza, igiene, trasparenza, costi, sprechi, rifiuti, partecipazione legati al servizio di ristorazione scolastica. Quasi 700 gli intervistati di cui: 482 bambini, 95 insegnanti, 89 genitori, 30 rappresentanti delle Commissioni Mensa. Una ulteriore indagine è stata svolta fra settembre ed i primi di ottobre ed ha riguardato la rilevazione delle rette della ristorazione scolastica in tutti i capoluoghi di provincia, per scuola dell’infanzia e scuola primaria.

LE INDAGINI NEL DETTAGLIO

LOCALI ‘ASSENTI’ O NON DEL TUTTO A NORMA

Su 79 scuole che erogano il servizio di ristorazione scolastica ben 18 non dispongono di un locale mensa, quasi 1 su 4 (23%). I bambini mangiano in altri locali, prevalentemente gli atri degli edifici scolastici e le aule utilizzate per le lezioni ‘ordinarie’. Questo dato confermato dal rapporto 2014 del ministero della Salute, dal titolo ‘OKkio alla Salute’, secondo cui il 74% delle scuole possiede una mensa scolastica.

Questi numeri fanno riferimento a due indagini svolte dall’organizzazione: una che ha coinvolto sperimentalmente le mense di 79 scuole di 13 Regioni, per raccogliere, tramite 221 indicatori, dati osservabili e dati percepiti su qualità, sicurezza, igiene, trasparenza, costi, sprechi, rifiuti, partecipazione legati al servizio di ristorazione scolastica. Inoltre, laddove presenti, le mense non brillano dal punto di vista della sicurezza: più di una su tre ha l’impianto elettrico e antincendio per nulla o solo parzialmente adeguato; oltre un terzo (37%) non ha porte con apertura antipanico; una su dieci ha segni di fatiscenza e poco meno (8%) presenta distacchi di intonaco.

Come emergeva dai risultati dei controlli da parte dei Nas dello scorso giugno su 2.678 mense scolastiche, in una su quattro sono state riscontrate gravi irregolarità e per 37 di queste (1,4%) è stata disposta la chiusura. Sono state comminate a livello nazionale 164 sanzioni penali e 764 amministrative: tra le prime le più numerose (58) riguardano la frode in pubbliche forniture e il commercio di alimenti nocivi (23); tra le seconde ben 695 riguardano carenze igienico strutturali e/o mancata attuazione del piano di autocontrollo.

I bambini la vedono meno accogliente dei loro genitori e anche degli insegnanti. Per gli studenti il problema principale è il rumore (segnalato dall’87%), meno della metà (46%) la considera ben arredata e poco più (52%) la vede come un ambiente allegro. Va meglio sul fronte della pulizia: la considera pulita l’86% dei bambini, il 90% dei genitori della Commissione mensa, il 94% dei genitori, il 95% dei docenti.

RISCHIO JUNK FOOD

L’86% dei bambini non conosce da dove arriva quello che arriva nei piatti della mensa scolastica, mentre fra i docenti la conoscenza è più diffusa: solo il 43% ne è ignaro, poco più della metà (56%) ritiene che sia rispettata la stagionalità dei prodotti e uno su tre dichiara che vengono usati cibi biologici. Quasi tutti i genitori (90%) sostengono di sapere che cosa il proprio figlio/a abbia mangiato alla mensa direttamente da lui/lei ma solo il 51% ne tiene conto in relazione alla cena.

ciboEducazione alimentare e lotta agli sprechi sono protagoniste a scuola, ma dall’indagine emerge un allarme per il junk food dei distributori. Il 90% dei docenti dichiara che vengono realizzati progetti di educazione alimentare nelle scuole; il 92% che si effettuano visite esterne alle fattorie didattiche, il 76% dichiara l’esistenza di un orto didattico a scuola; molto frequenti (93%) anche gli incontri con esperti. Il 74% afferma poi che la scuola realizza iniziative concrete contro gli sprechi alimentari e ancora più frequenti sono le iniziative sulla raccolta differenziata dei rifiuti (97%). Il 59% delle scuole monitorate quest’anno è dotato di distributori automatici di bevande che, nell’89% dei casi, contengono the, caffè ed acqua minerale, succhi di frutta (57%), bevande zuccherate e/o gassate (45%). Il 36% degli istituti presenta anche distributori automatici di snack: merendine (93%), biscotti farciti (73%), barrette di cioccolata (78%), crackers (85%), patatine (59%), popcorn (7%). In nessuna scuola è stata rilevata la presenza di distributori con prodotti naturali. Primo, importante, passo per Cittadinanzattiva sarebbe quello di dotare i distributori esclusivamente di prodotti freschi, naturali e salutari.

TARIFFE RECORD IN EMILIA ROMAGNA

Un’indagine sulle tariffe della ristorazione scolastica su tutti i capoluoghi di provincia, fra settembre e i primi di ottobre 2016. Cittadinanzattiva ha rilevato, sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria e la secondaria di primo grado, il costo medio della refezione scolastica per famiglia tipo composta da tre persone (genitori con un figlio) con reddito lordo annuo pari a 44.200 euro, al quale corrisponde un Isee di 19.900€. L’organizzazione ha esaminato per ciascun capoluogo di provincia il costo del singolo pasto, quello mensile (su 20 pasti) e quello annuale (su 9 mesi). Oltre 700€, tanto spende annualmente una famiglia tipo per pagare la mensa scolastica del proprio figlio: precisamente 728€ sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria.

L’Emilia Romagna vanta le tariffe più alte sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria, con 1000€ annui in media, la Calabria la più economica, con poco più di 500€ all’anno. Una differenza pari al 100% non giustificata esclusivamente dal costo della vita. Sopra la media nazionale per la retta della mensa nella scuola primaria, oltre all’Emilia Romagna, il Piemonte (860€ all’anno), la Liguria (857€), la Valle d’Aosta (835€), la Basilicata (833€), la Lombardia (820€), la Toscana (799€) e le Marche (785€).

Al di sotto della media nazionale: di poco il FVG (694€) e il Veneto (674€), seguono il Lazio (650€), la Sardegna (626€), la Puglia (616€), il Molise (609€), la Campania (592€), la Sicilia (579€), l’Abruzzo (572€) e ultima la Calabria (517€).

A livello di aree geografiche, al Nord le tariffe più costose (circa 93.96€ mensili sia per l’infanzia che per la primaria), segue il Centro (94€ per l’infanzia e 78€ per la primaria), meno caro il Sud (64€ infanzia, 67€ primaria). Fra i capoluoghi di provincia, Livorno e Ferrara al primo posto nella top ten delle città più care, con 128€ di retta media mensile. Colpisce la presenza, nella lista dei dieci capoluoghi più cari, di Potenza (113€) e Tempio Pausania (108€). Fra i capoluoghi con rette annuali superiori ai 1000€, anche Reggio Emilia (1100€), Rimini (1080€), Forlì e Pesaro (1062€), Torino (1042€), Barletta è la provincia meno cara per la ristorazione scolastica con 32€ mensili per una famiglia tipo.

Nella lista delle meno care, presenti molti capoluoghi del Sud, ad eccezione di Latina (46€ mensili) e di Roma (45€) che risulta la meno cara fra le città metropolitane.

COMMISSIONI DEDICATE POCO CONOSCIUTE

Sulla base delle rilevazioni annuali di Cittadinanzattiva, in circa la metà delle scuole è attiva una Commissione mensa che, tuttavia, non è molto conosciuta come organo di controllo e partecipazione della scuola: solo la metà dei docenti (53%) e quasi due terzi dei genitori (64%) sa se esiste o meno nel proprio istituto. La frequenza con cui le Commissioni mensa intervistate effettuano i controlli varia molto da scuola a scuola. Il 23% li effettua una o due volte a settimana, in egual percentuale ogni due settimane, il 20% una volta al mese. Nel 34%, dunque in più di un caso su tre, le visite sono troppo rade, addirittura semestrali o una sola volta l’anno.

Dal report emerge che uno su quattro dei rappresentanti intervistati dichiara di avere l’obbligo di preavvisare il giorno prima o qualche ora prima del sopralluogo. Nell’89% dei casi i rappresentanti assaggiano il cibo che viene servito, durante il loro sopralluogo. I rapporti tra Commissione Mensa e Comune sono buoni nella metà dei casi. Non ci sono rapporti o sono problematici tra i due soggetti per il 30%. Circa un rappresentante su due dichiara di aver ottimi rapporti ed interlocuzione con l’azienda erogatrice, e un buon rapporto con gli altri genitori nel 77% dei casi. Inoltre, 24 rappresentanti su 30 hanno avanzato proposte per modificare il servizio mensa nella propria scuola, quasi tutte legate al menù (sostituzione di alimenti, maggiore varietà) ma anche all’utilizzo di acqua di rubinetto, ad una diversa gestione degli avanzi, all’introduzione di tovaglie di stoffa, ma solo in meno della metà dei casi, tali richieste sono state accolte.

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