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ROMA – Oltre dieci vittime, tra cui una bambina, 4.000 feriti, di cui 500 che hanno perso la vista: è il bilancio provvisorio dell’attacco multiplo che ha provocato migliaia di esplosioni dei cercapersone in Libano. Le indagini per ricostruire come sia stato possibile realizzare qualcosa che sembra essere la trama di una- terribile- spy story, portano direttamente alla rotta delle aziende produttrici di questi strumenti che passa da Taiwan per arrivare direttamente in Europa, in Ungheria. Ma cosa sappiamo dei “cercapersone”? E perché gli Hezbollah si servivano proprio di questi dispositivi, a migliaia, acquistati tutti in un’unica “partita” pochi mesi fa?
Cercapersone, pager o beeper: oggi li vediamo ancora nei locali o ristoranti, sono piccoli dispositivi che si illuminano ed emettono un suono (beep beep) per avvisarci che l’ordinazione del pasto fatta poco prima è pronta per essere ritirata. Ma prima degli anni ’90, ovvero prima dell’esplosione dei cellulari, erano oggetti molto utilizzati. Il primo cercapersone fu introdotto nel 1950 a New York ed era sfruttato da una rete di medici che pagavano un abbonamento mensile per il servizio. L’apparecchio, delle dimensioni di un pacchetto di sigarette, permetteva di ricevere una notifica quando si riceveva una telefonata dalla rete fissa a cui non si era risposto. La notifica era accompagnata da un breve messaggio sul dislay con le indicazioni del chiamante, in modo da poterlo richiamare appena possibile.
Hezbollah li usa per le comunicazioni fra i suoi membri perché ritiene che non siano rintracciabili da Israele: proprio perché la loro tecnologia è obsoleta rispetto agli smartphone, i pager ricevono messaggi senza inviare segnali costanti e non hanno funzioni Gps. Ciò rende molto più difficile per le autorità o per agenzie di intelligence, come quella israeliana, tracciare la posizione esatta dell’utente.
Risulterebbe che lo scorso febbraio il gruppo aveva deciso di limitare o abbandonare l’uso dei telefoni cellulari, perché spesso geolocalizzati dai servizi segreti israeliani e ciò rendeva possibile l’uso di quelle informazioni per attaccare e uccidere i miliziani. In un discorso andato in onda sulle televisioni locali lo scorso 13 febbraio aveva invitato i membri del gruppo a distruggere i propri smarthphone. Nel frattempo Hezbollah ha poi fornito circa 5.000 cercapersone ai suoi membri che consentono di ricevere messaggi di testo, ma non di telefonare.
I danni fisici subiti dall’utente- adulto- possono variare da gravi a lievi, a seconda della zona del corpo che è venuta a contatto con il dispositivo. I cercapersone, secondo le fonti di intelligence statunitensi riportate dal New York Times, potrebbero essere esplosi perché contenevano una piccola carica esplosiva che sarebbe stata inserita al loro interno prima che i device fossero venduti in Libano. Anche l’innesco attivabile a distanza- si pensa tramite un semplice messaggio- sarebbe stato inserito in fase di costruzione. Gli esperti non ritengono invece credibile che i cercapersone siano esplosi per un surriscaldamento indotto delle batterie al litio, che è stata una delle prime ipotesi avanzate.
I 5.000 cercapersone esplosi erano tutti dello stesso modello, AR924: risultano riconducibili all’azienda produttrice Gold Apollo di Taiwan che però si è affrettata a prendere le distanze e dirottare altrove le responsabilità. La società infatti, tramite comunicato, ha smentito di essere la sede in cui sono stati prodotti i device diventati un’arma esplosiva. E si è anche affrettata a spiegare che l’assemblaggio, e quindi la possibile manomissione dei cercapersone, possa essere avvenuta addirittura in Europa, precisamente a Budapest. Infatti, “secondo l’accordo di cooperazione– si legge nel documento diffuso dai vertici della Gold Apollo– abbiamo autorizzato la Bac Consulting a utilizzare il nostro marchio per la vendita di prodotti in regioni designate, ma la progettazione e la produzione dei prodotti sono di esclusiva responsabilità di Bac”.
Ma la società ungherese Bac Consulting ha smentito la ricostruzione dei fatti taiwanese. In un vero e proprio rimpallo di responsabilità, l’amministratore delegato di Bac Consulting, Cristiana Barsony-Arcidiacono, ha dichiarato a Sky News: “Io non faccio i cercapersone, sono solo una intermediario. Penso che abbiate sbagliato”.
In tutto questo, Israele- additato a livello internazionale come vero responsabile della strage dei cercapersone- tace, mentre giungono notizie di un nuovo cyberattacco, che questa volta riguarderebbe esplosione di walkie talkie, nelle roccaforti Hezbollah alla periferia di Beirut.
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