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Respinto il ricorso di mamma Frida, l’avvocata: “Cassazione come Ponzio Pilato”

La 'madre coraggio' si era opposta all'imposizione del riconoscimento paterno da parte del Tribunale di Venezia

Pubblicato:18-08-2022 13:28
Ultimo aggiornamento:18-08-2022 13:28
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ROMA – “È stata persa un’occasione per esprimere una posizione giuridica e giurisprudenziale evolutiva che in qualche modo realizzasse gli intenti della Convenzione di Istanbul”. Così l’avvocato Andrea Coffari ha commentato alla Dire la sentenza della Corte di Cassazione che lo scorso 6 luglio ha respinto il ricorso di mamma Frida: la ‘madre coraggio’ che si era opposta all’imposizione del riconoscimento paterno da parte del Tribunale di Venezia. Per l’avvocato, che ha curato il ricorso, si tratta di “una normativa e tradizione culturale e giuridica fondata sull’espressione del potere anziché sulle relazioni e sulla tutela. È un problema- ha proseguito- che attraversa tutto l’Occidente e rispetto al quale ci sono due linee: una evolutiva e l’altra che tende a involversi, che vorrebbe una restaurazione del potere patriarcale. È questa la linea rappresentata, ad esempio, dal Ddl Pillon, che non è un’anomalia ma si inserisce nella tradizione che va dal diritto di famiglia alla legge sulla bigenitorialità. La Cassazione ha perso un’occasione importante che, però- confida- sarà colta in futuro. I diritti riusciranno a imporsi”, ha dichiarato Coffari.

LA STORIA DI FRIDA

“La nostra vita non era semplice nemmeno prima della Cassazione, controparte e servizi sociali si sono mossi come se i precedenti verdetti fossero passati in giudicato e l’aggressività della controparte- ha raccontato mamma Frida- si era già manifestata anche prima del decreto di riconoscimento, lui si sentiva autorizzato a mandare la polizia in casa per il prelievo della bimba e a farmi denuncia”. Ma facciamo un passo indietro. Quando la donna rimane incinta il padre biologico della bambina le chiede in tutti i modi di abortire, anche con messaggi forti e incessanti che sono agli atti: “Ti chiedo un gesto di carità cristiana di non ergerti a Dio, perché se questo bambino dovesse nascesse contro la mia volontà, tu ti staresti ergendo a Dio”; “l’Angelo che porti in grembo volerebbe tra le braccia di Dio, se è vera la tua fede; la vostra anima sarebbe salva. Ti prego Frida, salvaci tutti”; “mi stai minacciando di mettere al mondo un figlio mio anche se non lo volessi ma mi vuoi far suicidare questa notte seduta stante?”, “sei una lurida sgualdrina”, “spero che tu muoia”.

La bimba nasce e viene riconosciuta solo dalla mamma. L’uomo torna dopo alcuni mesi dalla nascita per chiederne il riconoscimento, imponendosi da subito, come emerge dalla ricostruzione degli avvocati, con un approccio aggressivo e impositivo su una bambina che di fatto non lo conosce e che reagisce da subito malissimo ai primi incontri con l’uomo, organizzati dalla Ctu che si tiene quando la bambina ha appena 18 mesi. Dalla consulenza tecnica d’ufficio Frida viene descritta come una mamma con un conflitto di lealtà (terminologia affine all’alienazione parentale) e il tutto avviene mentre, bene ricordarlo, per la legge il padre nemmeno esiste e in una fase della vita di un bambino in cui, generalmente, una donna ancora allatta al seno. In una storia tra il paradosso e l’assurdo al Tribunale di Venezia una mamma che ha voluto fortemente sua figlia e ha portato avanti la gravidanza con coraggio passa così i primi anni di vita della piccola con il trauma di continui arrivi di forze dell’ordine e missive dei servizi sociali a casa che espongono la bambina soprattutto, ma anche sua madre e i nonni materni, ad una vita senza serenità e senza pace, per arrivare all’epilogo attuale della Cassazione.


LA LEGGE SUL RICONOSCIMENTO DEI FIGLI

Secondo le avvocate penaliste Teresa Manente e Ilaria Boiano che seguono il caso ‘il procedimento di riconoscimento è dominato da un doppio standard che meriterebbe un intervento del legislatore. Il padre infatti può ritornare sui suoi passi quando vuole e, malgrado l’abbandono morale e materiale prolungato e in molti casi le pregresse violenze, il dissenso della madre al riconoscimento viene superato dal Tribunale, poiché si ritiene prevalente l’interesse del minore allo stato di figlio riconosciuto. Ma altrettanto non accade per le madri- hanno sottolineato- e a seguito di parto in anonimato anche le donne potrebbero chiedere la sospensione del procedimento di dichiarazione dell’adottabilità e l’assegnazione di un termine per il riconoscimento. La sospensione però è rimessa alla discrezionalità del Tribunale dei minorenni ed è seguita da un accertamento che va ben oltre la verifica della conformità all’interesse del minore del riconoscimento da parte della madre’.

‘Il collega ha toccato nel suo ricorso tutti i nervi scoperti dell’articolo 250- ha sottolineato l’avvocata civilista Camilla Di Leo che segue il caso- e la Cassazione non ha preso in considerazione la legislazione internazionale, che si è evoluta. Ormai la bigenitorialità è un concetto che sfuma e dovrebbe essere interpretato anche in negativo: come il diritto a non avere una bigenitorialità. Con questa ordinanza la Cassazione ha fatto come Ponzio Pilato”. “La genitorialità paterna- ha aggiunto Manente- è ancora intesa come espressione di potere proprietario del padre sui figli e le figlie e occasione per esercitare controllo sulla vita delle donne. Così a oltre quarant’anni dalla riforma del diritto di famiglia l’esperienza delle donne dinanzi all’autorità giudiziaria ci fornisce la misura di quanto la genitorialità paterna si esplichi nei fatti fuori da una cornice di autentica condivisione paritaria della responsabilità genitoriale, utilizzata come luogo per arrecare sofferenza e limitare la libertà personale delle donne che si sono ribellate alla concezione patriarcale della famiglia, ossia quella che secondo la corte costituzionale affonda le proprie radici in una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. “È questa prospettiva ancora patriarcale che prevale nei giudizi di riconoscimento della paternità, di affidamento e responsabilità genitoriale- ha rilevato Boiano- e così viene sabotato l’impianto normativo introdotto contro la violenza di genere nelle relazioni di intimità: le violenze spariscono, non si indagano le capacità concrete di accudimento e cura dei padri nei confronti dei figli e delle figlie, mentre le donne divengono il caprio espiatorio dell’assenza di relazione padre-figlio, ciò paradossalmente anche laddove i figli e le figlie non abbiano mai conosciuto il padre. Anche l’accertamento del pregiudizio derivante dal riconoscimento di paternità tardivo paga il prezzo della diffusa sottovalutazione della gravità della violenza nei confronti delle donne in ogni sua forma e tempistica: nell’esperienza delle donne che si ritrovano ad affrontare questi tipi di procedimenti, come nel caso di Frida, la loro parola su quanto vissuto durante la relazione e, soprattutto, durante la gravidanza, viene ignorata”.

L’OPERATO DEI SERVIZI SOCIALI

Va ricordato che i servizi sociali “avevano stabilito il diritto di visita del padre ancor prima del riconoscimento– ha sottolineato Di Leo- e mi auguro che venga aperto al più presto un procedimento disciplinare nei loro confronti”. “Abbiamo provato con l’avvocata Di Leo infatti a far presente che il decreto di riconoscimento del novembre 2021 non poteva dirsi esecutivo perché il riconoscimento è azione di Stato eppure la controparte ha modificato cognome e siamo dovuti intervenire con l’Ufficio di stato civile che ha rettificato. Adesso la Cassazione- ha continuato mamma Frida- ci ha dato il colpo di grazia. Mi sono opposta al riconoscimento proprio per questa prepotenza, per questa maniera di presentare la genitorialità, per come la esprime esponendo la bambina allo stress, al trauma, quale padre chiede l’affido della propria figlia ai servizi sociali?”.

La storia di Frida in Cassazione ha provato di fatto a ripensare un certo assetto normativo sul riconoscimento dei figli che in Italia penalizza le donne e le madri, a scrivere una storia nuova, di pensiero e di diritto: “Non abbiamo avuto nessun rispetto della nostra famiglia monogenitoriale”, ha detto. Come se una madre single non fosse una madre adeguata. Si procederà ora con un reclamo per revocazione, ma è una strada molto difficile. “Le due sentenze, l’ordinario e l’appello- ha ricordato Frida– secondo i legali non hanno tenuto in alcuna considerazione la Convenzione di Istanbul” e per questo le legali di Differenza Donna chiedono anche la riapertura delle indagini sulle denunce delle condotte vessatorie dell’uomo.

“I servizi sociali propongono un primo incontro di 1 ora con un educatore e senza mamma, dopo seguirà il calendario della Ctu con pernotto e vacanze. Non è prevista registrazione dell’ incontro e nemmeno che io possa essere presente per tranquillizzare la piccola. I servizi sociali sono stati segnalati all’Ordine perchè non hanno fatto mai un passo indietro, non sono neutrali e hanno reso testimonianza contro di me….. come posso fidarmi dell’ operato di queste persone?”, ha ammesso Frida. Inoltre i servizi si muoveranno sulla base di un procedimento ormai vecchio di 6 anni e come ha puntualizzato l’avvocata Di Leo “è impensabile poter dare esecuzione a un provvedimento dopo tutti i fatti e le vicissitudini intercorse”. L’autorità giudiziaria potrebbe essere nuovamente interpellata.

ORE DI ANGOSCIA

A questo si aggiunge “la minaccia del secondo pignoramento per le spese di Cassazione”. Alla piccola “ho provato ad accennarle- ha concluso mamma Frida- ma vista la sua disperazione non sono andata avanti. Sono ore di angoscia e di grande sconforto”.

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