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ROMA – “Con il criterio di accesso la sindrome di alienazione parentale (Pas) esce dalla porta e rientra dalla finestra”. Ne è convinta Concetta Gentili, avvocata civilista e responsabile del Gruppo delle avvocate civiliste della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re, intervistata ieri dall’agenzia Dire a margine del convegno ‘Violenza contro le donne e affido dei minori. Quando la giustizia nega la violenza’ organizzata da D.i.Re in collaborazione con DireDonne. È sulla Pas che le avvocate che seguono le madri maltrattate puntano il dito. Una teoria controversa – nata negli Anni 80 con lo psichiatra statunitense Richard Gardner – secondo la quale uno dei due genitori, in questo caso la madre, metterebbe in atto un comportamento alienante finalizzato a mettere in cattiva luce l’altro genitore agli occhi del minore, incitandolo ad allontanarsi da lui.
“La Pas- spiega l’avvocata- viene utilizzata solitamente dagli avvocati dei maltrattanti o di tutti quei padri che in qualche modo si sentono allontanati dai propri figli e non si chiedono neanche il perché”. È stata “chiaramente riconosciuta come non scientificamente comprovata- chiarisce Gentili- quindi, da escludersi dalle decisioni dei tribunali” e sconfessata il mese scorso “dalla Cassazione, che ha detto espressamente che non essendo un criterio scientificamente comprovato non può essere di fatto messo a base di una decisione in materia di affido dei bambini”. Ma per la civilista, di fatto, il criterio di accesso “secondo cui è meritevole di esercitare la responsabilità il genitore che consente al bambino di accedere all’altro genitore”, agisce sugli stessi meccanismi della Pas. “Se, ad esempio, c’è una donna che per tutelare il proprio figlio di fatto ha limitato l’accesso al padre in presenza di una violenza assistita- argomenta l’avvocata- l’inottemperanza al criterio di accesso inciderà sicuramente, nel caso delle consulenze tecniche d’ufficio (Ctu), sulla valutazione della sua responsabilità genitoriale”, pregiudicando la sua possibilità di essere valutata genitore competente.
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Inoltre, nei casi di maltrattamenti “la bigenitorialità non decade, nonostante la Convenzione di Istanbul all’articolo 31 dica una cosa completamente diversa. E questo succede perché la violenza di genere non è riconosciuta nei nostri tribunali”, dove viene “sostanzialmente equiparata al conflitto”, e considerata, quindi, “un fenomeno transitorio, non capace di incidere così profondamente nella vita degli adulti ma, soprattutto, dei bambini che vi assistono”.
La materia degli affidi è di competenza “dei tribunali civili e nel momento in cui c’è un giudice che stabilisce della responsabilità genitoriale privandola a uno dei due genitori, è come se stabilisse anche dall’affido”. Se la “responsabilità genitoriale prima era solo appannaggio del Tribunale per i minorenni- precisa Gentili- con l’articolo 38 delle disposizioni di attuazione modificato dalla legge sull’equiparazione degli status si è deciso che i tribunali ordinari, quindi i giudici delle separazioni e dei divorzi, nel momento stesso in cui si propone una questione incidente sulla responsabilità, pendente un giudizio di tal genere, attraggono anche i giudizi in tema di responsabilità genitoriale. Per cui, mentre prima c’erano due giudici e ci poteva essere anche una differenza di giudicati- precisa Gentili- oggi si tende a concentrare i giudizi in capo a uno solo“. Un bene o un male? “Se pensiamo come criterio di valutazione del bene e del male la concentrazione dei giudizi forse è un bene- sostiene l’avvocata- Se pensiamo come criterio di valutazione la competenza specifica dei giudici minorili a giudicare della responsabilità genitoriale, per quanto mi riguarda, con la chiosa che io vengo da un territorio dove il Tribunale per i minorenni funziona bene, è un male perché io preferisco che sulla responsabilità genitoriale giudichi il Tribunale per i minorenni. Credo che questo però- conclude la responsabile del Gruppo civiliste di D.i.Re- sia molto legato all’esperienza rispetto al tribunale del territorio a cui un avvocato afferisce”.
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