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VIDEO | Violenza donne, Ulivi (Cadmi): “Ctu potere enorme, decidano i giudici”

"Serve un quesito specifico", spiega l'avvocata civilista e presidente della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano

Pubblicato:18-07-2019 15:21
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:32

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ROMA – Limitare il “potere enorme” delle Consulenze tecniche d’ufficio (Ctu), disposte dai giudici civili nei casi di affido in separazioni conflittuali, di solito “sposate” in sede di giudizio, e ritornare “alla decisione da parte del giudice, perché i consulenti devono dare ciò che il giudice non ha, cioè la tecnica“. A sostenerlo è Manuela Ulivi, avvocata civilista e presidente della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano (Cadmi), intervistata ieri dalla Dire a margine del convegno ‘Violenza contro le donne e affido dei minori. Quando la giustizia nega la violenza’, organizzato da D.i.Re in collaborazione con DireDonne.

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Ulivi spiega nel dettaglio come si arriva a una Ctu: “Si arriva alla Ctu quando la situazione è molto tesa e il giudice non ha risposte adeguate, anche da parte dei servizi sociali. Oppure viene chiesta direttamente dalle parti perché si vuole far valutare tutta la situazione ad un tecnico. Normalmente si tratta di psicologi, psicoterapeuti, psichiatri”.

Scopo della consulenza è “conoscere i fatti, fare osservazioni tecniche”. Il primo problema, però, è che se normalmente dovrebbe durare un massimo di 90 giorni, “spesso vengono chieste delle proroghe, perché durante la consulenza lo psicologo nominato si avvale di persone che somministrano test ai minori e agli adulti, con un ulteriore aggravio di costi”; e, “se ci fosse bisogno di valutazioni ancora più approfondite, può nominare ulteriori esperti, ad esempio un neuropsichiatra infantile”. Così, i tempi della consulenza si allungano e arrivano a durare “anche un anno, come mi è capitato recentemente”. Ma la principale distorsione della Ctu, per Ulivi, è un’altra. “Sono tutti professionisti abituati a lavorare col giudice in condizioni di conflitti più o meno esacerbati, ai quali non viene praticamente mai posto un quesito specifico sulla violenza, cioè una valutazione di sintomi post-traumatici da stress, ad esempio, che possano essere riferibili ad una violenza- sottolinea la presidente di Cadmi- Un quesito di questo genere, che io spesse volte ho chiesto, non ho mai ottenuto che venisse fatto a un consulente”.

Di fatto, la violenza non entra nella Ctu “perché i consulenti cercano di lasciarla completamente da parte, essendo formati per valutare la possibilità di arrivare ad una composizione del conflitto”. La composizione del conflitto però, in una situazione di violenza, “è impossibile- sostiene la civilista- perché non si parte da un conflitto alla pari, ma da uno scontro degenerato, dove c’è chi domina e chi è dominato” e “con i figli a farne le spese”. Ma la Ctu incide moltissimo nei casi di affido dei minori “perché quello che indica il consulente di solito viene normalmente trasposto nelle decisioni dei giudici. Il consulente ha quindi un potere enorme” e “il giudice tendenzialmente sposa le sue conclusioni”, che danno non solo “un’indicazione tecnica, ma anche su come agire. Praticamente il giudice si spoglia un po’ del suo potere di ‘ius dicere’, cioè di stabilire il diritto” delegando al consulente e giustificando il suo affidarsi al fatto “che i consulenti hanno ben motivato le ragioni”. “Secondo me- sottolinea Ulivi- c’è bisogno di un ritorno alla decisione da parte del giudice. Io devo sapere se una persona ha un profilo comportamentale che mi può essere dato da un test di un certo tipo, se una persona ha dei livelli di patologia importanti, ma devo invece valutare con i testimoni, come si è sempre fatto nei processi, se alcuni fatti sono accaduti. Un giudice non può far accertare da un consulente se i fatti siano o meno accaduti- avverte- Deve prendere in mano la situazione, non negarla, quindi dare dei provvedimenti munendosi dei consigli dei consulenti, facendo anche dei quesiti specifici, alla luce dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, che dice che non possiamo prescindere dai fatti di violenza nello stabilire i diritti di custodia dei figli. Deve anche fare un quesito apposito su questo“, conclude.

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