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L’operazione ‘Burning Flame’ svela la mafia nigeriana: dalla droga alla tratta, citando ‘Cosa Nostra’

Ecco tutto quello che c'è da sapere sulla mafia nigeriana: dal libro, la 'Bibbia Verde', che ne regola l'organizzazione alla sua storia

Pubblicato:18-07-2019 16:45
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:32

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BOLOGNA – Spaccio di sostanze stupefacenti (in Emilia-Romagna soprattutto a Modena, Parma e Bologna), reati economici come truffe online e clonazione di carte di credito, sfruttamento della prostituzione e tratta. Sono le attività della Famiglia Vaticana, organizzazione territoriale del culto nigeriano Maphite, colpita oggi dall’operazione “Burning Flame” diretta dalla Dda di Bologna.

L’indagine ha portato a 19 fermi, 50 indagati, oltre 60 utenze intercettate per un totale di più di 5.000 ore di conversazioni telefoniche, numerosi servizi di osservazione e pedinamento, 32 perquisizioni domiciliari, sequestri di droga (410 grammi di eroina, 406 di cocaina, oltre tre chili di marijuana) e denaro (8.100 euro) e due arresti in flagranza di reato nel corso delle indagini.

La scelta è stata quella di “colpire i vertici– dichiara il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato- lasciando cioè da parte i singoli reati fine”, che “abbiamo consegnato alla definizione dei singoli processi, aperti in questi mesi o anni e che saranno aperti nei prossimi mesi”. L’operazione illustrata oggi, invece, si è concentrata sui capi dell’organizzazione “nel momento in cui questi, strutturalmente coordinati e valorizzati tra di loro- aggiunge Amato- venivano a dettare le regole generali delle attività illecite che poi dovevano essere compiute”.


Per farlo “abbiamo ritenuto di procedere con i fermi, senza attendere i provvedimenti di custodia cautelare richiesti al Gip”, continua il procuratore, puntando sulla “pericolosità di questa associazione”. Ed è concreto anche il pericolo di fuga, aggiunge Amato, visto che “alcuni si sono già trasferiti all’estero e altri avevano intenzione di allontanarsi”.

Per quanto riguarda le due persone che oggi hanno evitato il fermo, “sono in Europa e ci determineremo a chiedere il mandato di arresto europeo”, spiega il procuratore di Bologna. Si tratta di organizzazioni “molto pericolose– avverte Amato- e non solo per la forma di violenza intrinseca che veniva esercitata a volte in scontri violenti, soprattutto con armi bianche, tra le organizzazioni rivali”.

Vale, infatti, anche per i cossiddetti “reati fine”, sottolinea il procuratore, citando in particolare “la riduzione in schiavitù e la tratta che qualificano e caratterizzano lo sfruttamento della prostituzione delle ragazze nigeriane”.

Ma altamente “pericoloso” è anche il traffico di droga, aggiunge Amato: si parla ad esempio dell’eroina gialla “che nei mesi scorsi ha creato molti problemi in termini di morti per overdose”. Una peculiarità riscontrata nelle indagini è che i guadagni delle attività illecite, compresi quelli derivanti dalle truffe online e dall’uso di carte di credito clonate, andavano ad alimentare una sorta di “cassa comune” gestita dai graduati dell’organizzazione.

Questo anche per finanziare “un assistenzialismo a cui si devono attenere tutti gli appartenenti“, spiega il capo della Squadra mobile di Bologna, Luca Armeni: l’esempio è quello di un affiliato fermato da una volante a Parma e portato in un centro per migranti a Torino, per il quale l’organizzazione “si è immediatamente prodigata trovandogli un nuovo avvocato e avviando una colletta”.

Solidarietà interna, dunque, accompagnata però ad un elevato grado di violenza, tra membri degli stessi gruppi o tra “cult” diversi. Gli inquirenti riconducono a ciò numerose aggressioni, risse e vere e proprie “battaglie” registrate a Ferrara, Modena, Bologna, Parma.

A Modena, ad esempio, a fine luglio dell’anno scorso ci fu un’aggressione a carico di un affiliato e due diverse “anime” dei Maphite si divisero su quanto tempestivamente reagire: prevalse l’ala più determinata e “nell’arco di quattro giorni furono commesse tre aggressioni con feriti”, racconta Armeni. Non a caso, nelle perquisizioni di oggi sono stati trovati anche “machete e coltelli“, riferisce il capo della Mobile: per l’organizzazione “ogni affiliato deve avere un’arma“. Una prassi condita da formule come “con un sorriso uccidi meglio” oppure “per un Maphite ferito dev’esserci un avversario ucciso”.

Le indagini sono state portate avanti dalla fine del 2016 alla fine del 2018. Tutto è partito dalle indicazioni fornite da un collaboratore di giustizia di origini nigeriane, “gestito insieme alla Procura di Torino”, spiega Amato: un elemento importante, sottolinea il procuratore bolognese, perchè in casi come questo “le voci dall’interno ti possono consentire di avere spunti e riscontri rispetto alle attività che stai facendo”.

E per quanto riguarda l’inchiesta illustrata oggi, “durante le indagini sono stati riscontrati tutti i punti e le dichiarazioni forniti dal collaboratore”, sottolinea Armeni. In base all’attività svolta, in Emilia-Romagna sono una settantina gli affiliati della Famiglia Vaticana. Per quanto riguarda Reggio Emilia, fa sapere la Questura locale, sono tre i fermi eseguiti nell’ambito dell’operazione. Nel complesso, “siamo convinti di aver acceso un faro su un fenomeno criminale particolarmente importante“, assicura Amato.

ECCO LA “BIBBIA VERDE” CHE GUIDA LA MAFIA NIGERIANA CITANDO COSA NOSTRA

Se a dare i primi spunti investigativi sono state le informazioni fornite da un collaboratore di giustizia, è tramite una sorta di “testo sacro” che gli inquirenti sono riusciti a ricostruire il funzionamento della mafia nigeriana dei Maphite che oggi è stata interessata da numerosi fermi su ordine delle Procure di Bologna e Torino: si tratta della “green bible”, la bibbia verde, che gli inquirenti sono riusciti a intercettare durante il viaggio dalla Nigeria ad uno dei capi dell’organizzazione in Italia.

Grazie alla bibbia verde “abbiamo avuto la possibilità di una ricostruzione e in parallelo di un riscontro di quello che ci diceva il collaboratore”, spiega il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato: informazioni preziose sull’organigramma dei Maphite e sulle regole interne da seguire secondo un preciso “codice di comportamento”, ma anche “indicazioni utili” sulle attività criminali già in corso e su quelle che l’organizzazione intendeva avviare.

Dalla bibbia gli inquirenti hanno dedotto che la struttura gerarchizzata dei Maphite “ripercorre i dettami e le regole delle nostre principali organizzazioni mafiose”, sottolinea il capo della Squadra mobile di Bologna, Luca Armeni: tanto che nel documento viene addirittura citata Cosa Nostra.

“E’ questa la tipologia di mafia a cui i Maphite si ispirano- continua Armeni- con una struttura piramidale con a capo un consiglio, le cui decisioni devono essere seguite da tutti i gradi della scala fino all’ultimo dei soldati”. Lo stesso discorso vale per il rito dell’affiliazione, ma con più ferocia rispetto alla criminalità italiana visto che tra i Maphite l’iniziazione prevede “tratti caratteristici di violenza- afferma Amato- che sono difficili da ipotizzare per chi ha una cultura occidentale”.

E’ un anziano che presenta l’aspirante affialiato agli altri anziani, spiega Armeni: a quel punto il nuovo adepto viene picchiato, perchè dovrà “difendere anche con la vita l’organizzazione”. Nelle indagini, le forze dell’ordine hanno avuto riscontro di un rito in base al quale il nuovo componente deve posizionare le mani a conca e spegnere al loro interno un pezzo di carta infuocato.

L’obiettivo è “far entrare il nuovo soggetto anche attraverso la sofferenza”, spiega il procuratore Amato: un “monito” che richiama “la violenza terribile che potrebbe conseguire se l’affiliato dovesse tradire”. Ovvero, la morte.

“Giuro di essere leale e fedele all’organizzazione dei Maphite. Se domani deciderò di svelare questi segreti questo fuoco brucerà me e le cose che mi appartengono. Ovunque mi trovi i Maphite mi faranno a pezzi sino alla morte“, recita chi entra nell’organizzazione. Che “diventa uomo” in quel momento, tanto che alla richiesta della data di nascita bisogna rispondere citando il giorno dell’affiliazione.

MAPHITE E GCA, ECCO LA STRUTTURA DELLA MAFIA NIGERIANA

Dalla messa a bando in Nigeria alla diffusione in mezzo mondo: Italia compresa, a partire da un’associazione-paravento registrata nel 2012 a Bentivoglio, in provincia di Bologna. E’ così che il “cult” Maphite, secondo gli inquirenti, si è ramificato e consolidato dando vita nel tempo ad una vera e propria organizzazione mafiosa.

Maphite è un acronimo che sta per Maximum academic performance highly intellectuals train executioner. “Nasce nelle Università nigeriane decenni fa”, ricostruisce il capo della Squadra mobile di Bologna, Luca Armeni. Non è l’unico gruppo di questo genere: ci sono gli Eiye, i Black Axe, i Vikings.

Le diverse confraternite si contrappongono, la violenza sale e nel 2001 il Governo nigeriano le dichiara fuorilegge. I Maphite si creano così “una parvenza legale”, continua Armeni: l’organizzazione, così “mimetizzata in ambito internazionale”, si sparge sotto il nome di Green circuit association (Gca) e oggi risulta presente in una ventina di Stati in tutto il mondo.

Italia compresa, dove “opera una Gca che ha sede a Bentivoglio- spiega Armeni- ed è stata creata nel 2011. E’ all’interno di questa Gca che opera la Famiglia Vaticana“, ovvero una delle quattro articolazioni territoriali dei Maphite: è quella attiva in Emilia-Romagna, Toscana e Marche.

Le altre sono la Famiglia Latino (Italia nord-occidentale), la Famiglia Roma Empire (Italia centrale) e la Famiglia Light House of Sicily (Italia peninsulare).

L’associazione fondata a Bentivoglio è la “Gca Charity Italia” e i suoi soci fondatori, segnalano gli inquirenti, sono tra gli indagati dell’operazione “Burning flame” che è scattata oggi con decine di fermi ordinati dalle Procure di Bologna e Torino.

Uno dei due fermati a Bologna, in particolare, risulta essere “il tesoriere dell’associazione fin dal 2011”, riferisce Armeni. Questa associazione, dunque, “appare come una sorta di rappresentazione pulita di quella che in realtà era un’organizzazione criminale“, afferma il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato.

Tornando alla Famiglia Vaticana, gli inquirenti spiegano che al vertice c’è un consiglio composto da affiliati anziani. Il capo è denominato “Don”, affiancato da un suo vice, da un tesoriere e da un “annunciatore”, cioè colui che ha il compito di diffondere gli ordini del capo. A livello provinciale e cittadino, la Famiglia è organizzata tramite sottosezioni chiamate Forum, che ricalcano la stessa struttura interna. Nel corso delle indagini, riferisce Armeni, si è potuto verificare che l’ordine del “Don” arrivava agli adepti tramite 69 sms spediti dall’annunciatore.

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