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La pandemia affossa la Sardegna: il Pil precipita a -11,5%

Il 28esimo rapporto del Crenos sul mercato del lavoro mette in luce dati occupazionali allarmanti, e le donne sono le più penalizzate

Pubblicato:18-06-2021 16:17
Ultimo aggiornamento:18-06-2021 16:18
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CAGLIARI – La pandemia ha colpito la Sardegna in un periodo di timida ripresa, stroncando i settori su cui si regge l’economia regionale. Tenendo conto dei giorni di effettiva chiusura delle attività, della riduzione delle esportazioni e del crollo dei flussi turistici, nell’isola si prospetta per il 2021 una riduzione del Pil pari all’11,5%. È forse questo il dato più significativo emerso 28esimo rapporto sull’economia della Sardegna che il Crenos redige ogni anno, per analizzare le tendenze economiche recenti e fornire alcune analisi della congiuntura economica, presentato oggi nella Facoltà di Scienze economiche di Cagliari.

Dal report emerge innanzitutto la già gravissima situazione dell’isola sul fronte demografico, accentuata dalla pandemia: nel 2019 si registra un nuovo minimo storico nel numero dei nati (8.858) -mai così pochi dal secondo dopoguerra- scarsa mobilità in entrata, sia da altre regioni che dall’estero, determinando una spirale di decrescita della popolazione. In particolar modo accentuato il processo di invecchiamento, determinato dall’aumento della speranza di vita alla nascita (83,1 anni) e concomitante diminuzione del tasso di natalità (5,5 nati ogni mille abitanti).

Si aggrava il rapporto intergenerazionale, che vede 222 persone sopra i 65 anni ogni 100 giovani dai zero ai 14 anni, e aumenta il carico sociale ed economico sulla componente anagraficamente attiva della popolazione. Nonostante la relativa scarsa diffusione del contagio virologico, nel 2020 in Sardegna si sono avuti 15.801 decessi, con una sovramortalità del 16% rispetto alla media del quinquennio precedente, causata dagli effetti diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria (tra i secondi la contrazione dell’offerta sanitaria, il minor ricorso ai servizi di emergenza anche per pazienti in condizioni acute).


A questo si aggiunge un’influenza negativa al già basso tasso di natalità che induce i sardi a procrastinare la decisione di avere figli: le prime stime sul numero dei nati indicano che nel 2020 c’è stata una loro riduzione a 8.248. Per quanto riguarda i dati del contesto macroeconomico, precedenti all’emergenza sanitaria del 2020, si conferma la debolezza della struttura economica della Sardegna: nel 2019 il Pil per abitante si attesta al 69% della media europea, l’isola 147esima su 240 regioni dell’Unione (media italiana 96%).

Il sistema economico regionale non è capace di stare al passo con la crescita dell’Europa e nel tempo si allontana dalle regioni più dinamiche dal punto di vista economico. A livello nazionale nel 2019 vi è un segnale di convergenza che emerge da un incoraggiante aumento dell’1,4% su base annua del Pil per abitante (Mezzogiorno +0,7%, Centro-Nord +1,3%). Nonostante ciò permane il divario di reddito con le regioni settentrionali: il Pil della Sardegna (33,3 miliardi di euro in volume) si traduce in 20.356 euro per abitante, maggiore del Mezzogiorno (18.511 euro) ma distante del Centro-Nord (33.796 euro).

L’esercizio di calcolo dell’impatto macroeconomico della diffusione del covid in Sardegna mostra che le ricadute sul Pil potrebbero essere più pesanti di quelle registrate a livello nazionale (-8,9% nel 2020 per l’Italia secondo le prime stime Istat). Le attività maggiormente colpite sono quelle turistiche di alloggio e ristorazione, quelle a esse collegate (i servizi di supporto alle imprese e le attività immobiliari) e quelle che comportano un contatto diretto tra consumatori e fornitori (servizi alla persona, attività artistiche e ricreative, vendita al dettaglio). Tutti settori nei quali la Sardegna mostra una specializzazione produttiva.

I consumi delle famiglie nel 2019 indicano una spesa per abitante di 15.248 euro e mostrano un aumento dell’1,7% su base annua, superiore a quello del Mezzogiorno e del Centro-Nord. Esso ha riguardato tutte le componenti: i servizi (+2,3%), alimentari, prodotti per la cura della persona o della casa e medicinali (+0,6%) e in misura più elevata quella per i beni con utilizzo pluriennale (arredamento, autovetture, elettrodomestici, abbigliamento, calzature e libri: +4,3%). Questa terza componente è quella che segnala per l’anno che precede la diffusione dell’epidemia un miglioramento delle aspettative da parte dei consumatori e una maggiore disponibilità di reddito delle famiglie. I consumi sono destinati a registrare nel 2020 una contrazione in questo momento impossibile da quantificare, dovuta al cambio delle abitudini e al crollo del reddito disponibile.

Capitolo export: nel 2020 si registra una drastica riduzione delle esportazioni, -40,6% rispetto al 2019. Le vendite all’estero di prodotti petroliferi sono colpite dal crollo del prezzo internazionale del greggio e si riducono a 2,4 miliardi di euro nel 2020 (-48,2%). I restanti settori, in media in contrazione del 4,7%, mostrano una certa variabilità: l’industria dei prodotti in metallo raggiunge i 276 milioni di euro e segna un importante +46%, mentre si registra un calo delle vendite dell’industria chimica di base (188 milioni, -26,3% rispetto al 2019). L’export dell’industria lattiero-casearia è in diminuzione del 2,7%, ma le vendite verso gli Stati uniti, principale destinazione del pecorino romano, sono rimaste sostanzialmente invariate.

Con la pandemia, ha subito un brusco arresto sia il tasso di partecipazione al mercato del lavoro (-3 punti sul 2019) che il tasso di occupazione (-1,8 punti). La Sardegna perde nel complesso 27.000 occupati e 43.000 forze di lavoro, collocandosi così tra le regioni in cui la crisi pandemica ha avuto gli effetti peggiori sul mercato del lavoro. A contribuire a questo primato negativo è sicuramente la particolare struttura occupazionale in Sardegna, che nel 2019 vedeva quasi un lavoratore su quattro impiegato nel settore del commercio o della ristorazione. In questo settore, particolarmente esposto alle conseguenze delle misure restrittive per il contenimento della pandemia, il numero degli occupati si riduce infatti di oltre il 7%.

Le peggiori prospettive occupazionali hanno ridotto la partecipazione al mercato del lavoro soprattutto tra le donne. Oltre la metà (56%) di coloro che escono dal mercato del lavoro in Sardegna sono donne, nonostante queste ultime rappresentassero nel 2019 solo il 43% delle forze di lavoro. Anche il tasso di occupazione femminile (-5,6%) peggiora più di quello maschile (-3,4%), soprattutto tra le lavoratrici con un titolo di studio inferiore alla laurea. Per quanto riguarda le diverse tipologie contrattuali, la quasi totalità della riduzione dell’occupazione si registra tra i lavoratori con contratto a tempo determinato. La mancata attivazione o rinnovo di contratti di lavoro stagionali, o di breve durata si riflette nel crollo delle attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro, in entrambi i casi con un calo che supera le 100.000 unità.

In un quadro con molte ombre, qualche luce viene dall’aumento dei livelli occupazionali nell’agricoltura (+2,7% di occupati) e nelle costruzioni (+19%). Non sembra invece essere un segnale positivo la riduzione del tasso di disoccupazione (in calo dal 14,7% al 13,3% nell’ultimo anno). Questo andamento è infatti la conseguenza della riduzione della partecipazione al mercato del lavoro, e quindi di un aumento del numero degli inattivi, che non hanno un impiego e hanno rinunciato a cercarlo (+39.000 unità).

Abbiamo bisogno di una visione sistemica e globale, la pandemia ha reso più evidente questa necessità- spiega la direttrice del Crenos, Anna Maria Pinna-. Il nostro benessere dipende dal benessere dei cittadini di altri territori, servono politiche coordinate a livello sovranazionale, nazionale e locale’. Sottolinea Francesco Mola, rettore dell’Ateneo cagliaritano: ‘Stiamo attraversando un periodo particolarmente difficile, questa non è la classica crisi economica. Anche in questo rapporto si evince l’incertezza sulle conseguenze che porterà la pandemia. Una cosa emerge però con chiarezza: ciascuno dovrà fare la propria parte, ma nessuno si può permettere di farlo da solo. C’è una generazione che dovrà pensare alla prossima, sul Pnrr l’Italia ha fatto una scelta ben precisa, quella di andare a debito, bisogna lavorare per evitare che i nostri figli paghino le conseguenze di ciò che si farà nel prossimo futuro’.

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