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Valle del Sacco, attesa per la sentenza di primo grado il 16 luglio

Quattro gli imputati per i quali il pubblico ministero, Luigi Paoletti, ha chiesto la condanna a due anni per disastro innominato

Pubblicato:18-06-2020 07:54
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:31

giustizia tribunale
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ROMA – Il primo grado del processo per reati ambientali nella Valle del Sacco in corso al Tribunale di Velletri giunge al suo epilogo: giovedì 16 luglio alle ore 11.30 sarà data lettura della sentenza, prevista lo scorso 19 marzo e rimandata per lo stop delle attività dei tribunali dovuto alle misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19. Quattro gli imputati per i quali il pubblico ministero, Luigi Paoletti, ha chiesto la condanna a due anni per disastro innominato: Carlo Gentile, ex direttore dello stabilimento industriale della Caffaro a Colleferro; Giovanni Paravani e Renzo Crosariol, legale rappresentante e direttore tecnico del consorzio Csc (Consorzio Servizi Colleferro), azienda che gestiva lo scarico delle acque della zona industriale di Colleferro, all’origine della contaminazione della Valle del Sacco secondo l’accusa; e Giuseppe Zulli, ex direttore della Centrale del Latte di Roma, che, secondo la Procura, era a conoscenza prima dello stato di emergenza dichiarato nel 2005 che nelle mucche degli allevamenti che rifornivano l’azienda c’era del lindano, ma non avrebbe avvisato le autorità sanitarie competenti.

Ascoltati gli imputati, gli avvocati della difesa e delle parti civili, dopo la requisitoria del pm, giunge dunque a compimento un procedimento dalla storia travagliata, aperto dieci anni fa e ‘scampato’ alla prescrizione grazie alla verifica in Corte Costituzionale. Sarà il giudice Luigi Tirone – divenuto titolare del procedimento alla sua ripresa – a stabilire se i quattro imputati con la loro condotta abbiano contribuito o meno allo sversamento del betaesaclorocicloesano (beta-HCH, sottoprodotto del pesticida lindano, ndr) nelle acque del fiume Sacco, che avrebbe poi causato la contaminazione dei terreni e, attraverso la catena alimentare, delle persone in una vasta area compresa tra le province di Roma e Frosinone, oggi Sito di Interesse Nazionale (Sin).

“Con buona probabilità il processo sull’inquinamento della Valle del Sacco vedrà il suo primo epilogo con la lettura della sentenza di primo grado il giorno 16 luglio alle ore 11.30 presso il Tribunale di Velletri- scrive in una nota stampa l’associazione ambientalista Rete per la Tutela della Valle del Sacco (Retuvasa), costituitasi parte civile nel processo- Diciamo con buona probabilità perché il procedimento ci ha già riservato risvolti negativi che ne hanno determinato l’allungamento dei tempi. Noi, alla prima esperienza nelle pratiche di giustizia in materia ambientale, salutavamo l’avvio del procedimento penale nel 2009 con la speranza che ‘finalmente può essere che qualcuno venga condannato’. Ben presto però abbiamo dovuto assistere alle rituali manfrine procedurali, tra difetti di notifiche, tentativi di estromissione delle parti civili, lungaggini per la fissazione delle udienze, passando per un cambio di giudice e rimando decisionale sui termini di prescrizione alla Corte Costituzionale”. 


Continua l’associazione: “D’altra parte ricordiamo bene anche il caso del processo inceneritori di Colleferro (26 indagati e 9 aziende) caduto in prescrizione in modo vergognoso per essere incappato negli errori madornali dei Tribunali che hanno seguito il procedimento: se non fossimo determinati a lottare con tutti i mezzi a disposizione verrebbe meno la volontà di denunciare i misfatti ambientali. Ora dopo l’emergenza Covid-19 che di fatto ha bloccato la semplice lettura della sentenza, si torna in aula nella speranza che questa volta si arrivi a una conclusione, tenendo sempre presente che, in caso di condanna, l’unica consolazione è che i risarcimenti in sede civile avranno un loro corso indipendente a differenza di quello penale, che quasi certamente non arriverà in appello. Ad enti, associazioni, cittadini contaminati- sottolinea Retuvasa- resterà la speranza (col beneficio del dubbio sulle possibilità economiche degli eventuali condannati) di poter essere in qualche modo risarciti del danno subito. Certamente scamperà alla sanzione penale o condanna in carcere, chi ha procurato danni irreversibili all’ambiente, alla salute e all’economia di un territorio vasto per il cui recupero occorrerà mettere in campo ingenti risorse pubbliche”. Conclude Retuvasa: “Questa esito deludente sul piano penale non fermerà la nostra volontà, la volontà dei tanti cittadini della Valle del Sacco di conoscere fino in fondo le responsabilità del disastro ambientale che ha colpito il nostro territorio, di controllare con tutti i mezzi disponibili le conseguenze sulla nostra salute, di lottare per una trasformazione radicale del modello di sviluppo. Abbiamo conquistato e condiviso uno straordinario patrimonio di conoscenze, una grande capacità di lotta e di organizzazione con cui siamo determinati a costruire un futuro sotto il segno della giustizia sociale ed ambientale”.

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