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Venezuela, Yamile Saleh: “Aiutate mio figlio, ‘Sacharov’ detenuto”

Ai microfoni dell'agenzia 'Dire' parla la madre di Lorent Saleh, 29 anni, da quattro nelle carceri di Caracas

Pubblicato:18-06-2018 15:29
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:16
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ROMA – “Aiutatemi a salvare mio figlio, ve lo chiedo come madre e come venezuelana”: è l’appello, rilanciato oggi ai microfoni dell’agenzia ‘Dire’, di Yamile Saleh, madre di Lorent Saleh, 29 anni, da quattro nelle carceri di Caracas, Premio ‘Sacharov’ del Parlamento europeo per la libertà di pensiero. “Ho fede e speranza che con l’aiuto del mondo possiamo ridare la libertà a mio figlio, perché se la merita” sottolinea Yamile: “Ha subito quattro anni di ingiustizie e oggi non ha ancora potuto avere un’udienza di fronte al giudice; ci sono stati 50 incontri preliminari e poi sempre rinvii”.


E il ruolo del Vaticano, già mediatore nei colloqui tra il governo del presidente Nicolas Maduro e l’opposizione?

“Come donna di fede e come credente – risponde Yamile – confido nel Papa perché si impegni per la libertà non solo di mio figlio ma anche di Leopoldo Lopez e di tutti i prigionieri politici del Venezuela”. Saleh è stato arrestato nel 2014, dopo che come presidente dell’ong Juventud Activa Venezuela Unida si era battuto per la liberazione di 13 detenuti anche con uno sciopero della fame di fronte alla sede dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa). Secondo Yamile, ospite oggi dell’Ufficio del Parlamento europeo a Roma, “un ruolo nel suo arresto è stato ricoperto dal presidente della Colombia Juan Manuel Santos che lo consegnò al Venezuela e che ora, da Premio Nobel per la pace, dovrebbe ritrattare e ammettere il suo errore”.

Dopo l’arresto Saleh è stato detenuto in due centri del Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (Sebin): per 26 mesi a La Tumba e poi, ancora oggi, all’Helicoide. L’accusa nei suoi confronti sarebbe di aver favorito l’addestramento di forze paramilitari e di aver pianificato attentati contro il Venezuela.


L’EX PRIGIONIERA GROSSI: NO NEGOZIATI, AIUTANO REGIME

“Non credo nei negoziati; finirebbero solo per dare ossigeno a un governo non democratico”: così all’agenzia ‘Dire’ Betty Grossi, attivista di opposizione italo-venezuelana, in carcere a Caracas per oltre due anni. Al centro dell’intervista le prospettive di una trattativa con il governo del presidente Nicolas Maduro mediata della Santa Sede. Secondo Grossi, “i negoziati si fanno tra persone di orientamento democratico mentre con gli autocrati il dialogo non esiste e diventa solo strategia per mantenerli al potere”.

L’intervista si tiene a Roma, nell’Ufficio del Parlamento europeo, alcuni mesi dopo la decisione dell’Assemblea di Strasburgo di insignire l'”opposizione democratica” del Venezuela del Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Secondo Grossi, dunque, ogni tentativo di mediazione rischia di favorire il governo di Maduro.

 “Credo che sia necessario esigere il rispetto dello stato di diritto e la libertà di tutti i prigionieri politici” dice l’attivista. “In un Paese democratico non devono esistere i prigionieri politici“. Grossi è stata detenuta nell’Helicoide, la sede del Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (Sebin), dal 17 agosto 2015 al 23 dicembre 2017. Era stata arrestata insieme ad Andrea Gonzalez e Dany Abreu. Tutti e tre erano stati accusati da due assassini rei confessi di pianificare un attentato contro la figlia di Diosdado Cabello, figura di spicco del governo di Maduro.

 

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