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A 7 anni bimbo con una grave malattia neurologica rischia la casa famiglia. La madre: “Sarebbe un trauma”

SPECIALE MAMME CORAGGIO | Le avvocate di Differenza Donna Ilaria Boiano e Teresa Manente: "Provvedimento sproporzionato, è violenza istituzionale"

Pubblicato:18-05-2021 17:01
Ultimo aggiornamento:18-05-2021 17:34

chiara
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ROMA – Chiara (il nome è di fantasia, ndr) è a tutti gli effetti una ricercata. ‘Tra me e una rapinatrice, in questo momento, non c’è tanta differenza’, afferma in un’intervista all’agenzia di stampa Dire, mentre racconta della paura che il suo Luca (il nome è di fantasia, ndr) possa esserle strappato via per essere collocato in casa famiglia, dopo il primo tentativo andato a vuoto.

A stabilirlo è un provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Roma che nel dicembre 2020 nomina un tutore e un curatore speciale per il bimbo, disponendo ‘con urgenza’ il suo ‘collocamento presso adeguata casa famiglia, a cura del servizio sociale competente’, che ‘potrà avvalersi della forza pubblica, in caso di necessità’. Ma Luca ha solo 7 anni e da 4 convive con una grave malattia del sistema nervoso centrale che lo porta ad avere periodicamente delle crisi, tenute sotto controllo dalla mamma grazie a una terapia farmacologica perfezionata nel tempo e a uno stile di vita adeguato alle sue fragilità.


‘Per Luca qualsiasi cosa può configurarsi come un trauma, un suo spostamento in casa famiglia, col distacco da me e dai suoi nonni ai quali è legatissimo, andrebbe al di là della sua comprensione’. La preoccupazione costante di Chiara è per la salute di suo figlio, finito al centro di una lunghissima battaglia legale per l’affido combattuta dal suo ex a colpi di denunce per sottrazione di minore. ‘Non le conto neanche più’, racconta, e torna con la memoria ai primi giorni di frequentazione con l’uomo.


DALLA GRAVIDANZA AL PRIMO INCONTRO CON I SERVIZI SOCIALI

‘Ci siamo conosciuti su un sito di incontri, lui è stato molto frettoloso. Sembrava pazzo d’amore per me, voleva farsi una famiglia, avere dei figli, anche se poi ha dichiarato tutt’altra cosa in Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio, ndr)‘. Dall’inizio della convivenza alla scoperta della gravidanza passano poche settimane, ‘in cui sembravamo sereni- ricorda Chiara- anche se ripensando a quei giorni a distanza di tempo alcuni dettagli già rivelavano la sua vera personalità. Più che una compagna lui cercava una domestica che gli facesse trovare pranzo e cena pronti e la camicia stirata sul letto‘.

I problemi cominciano alla nascita del bambino. ‘Lui mi ha letteralmente impedito di avere a casa i miei genitori, che si erano trasferiti in Veneto per darmi una mano dopo il parto, mentre io dovevo sopportare i suoi parenti e sua madre che entravano con le chiavi in casa senza avvisare’. Le discussioni si moltiplicano. ‘Ogni volta reagiva in maniera aggressiva- racconta la donna- Una sera dicevo al telefono con mia madre di dover tornare a Roma per motivi di lavoro, lui mi ha lanciato le pantofole. Quando si arrabbiava agitava gli asciugamani in aria, come fossero fruste, e si mostrava aggressivo, anche con i miei genitori‘. Un episodio, più degli altri, induce Chiara a lasciarlo. ‘Stavamo andando a prendere la macchina nuova al concessionario, strada facendo quella vecchia ha cominciato a fare fumo- ricorda- Gli ho proposto di chiamare il soccorso stradale e lui ha iniziato a dare di matto, ha preso il mio cellulare e me lo ha scagliato contro con violenza, imprecando. Io sono scappata e mi ha accolta in casa un signore che ha assistito a tutta la scena‘.

Chiara rientra in taxi e chiama i carabinieri. Le consigliano di coinvolgere i Servizi Sociali, che indicano alla coppia un percorso di mediazione, ma ‘lui si è rifiutato di seguirlo– dice- Nel frattempo mi hanno chiamata per un incarico di lavoro a Roma, dove sono rimasta per due settimane, informandolo sempre su tutto’. Ed è in questa occasione che arriva la prima denuncia per sottrazione di minore.

LA PRIMA DENUNCIA PER SOTTRAZIONE DI MINORE E L’INIZIO DELLA CTU

‘Quando l’ho saputo- continua la donna- ho deciso di denunciarlo anche io per maltrattamenti’, querela che però viene archiviata. Di lì a poco arriva ‘la prima citazione in giudizio per l’affido del bambino, in cui chiedeva il condiviso con collocamento presso di lui’. E nel 2015 iniziano le sedute con la Ctu, che nella relazione rileva sulla madre ‘un’apertura limitatissima al ripristino della relazione padre-figlio, non concretizzata nonostante numerose sollecitazioni’ e stabilisce un calendario di incontri con il papà già dal primo colloquio ‘senza autorizzazione del giudice’, precisa Chiara.

‘Spiace constatare- scrive la psicologa incaricata dal Tribunale ordinario di Treviso- che, fino all’ultimo incontro, la signora ha ribadito i propri vissuti di violenza, ha rimandato le responsabilità delle archiviazioni ai legali precedenti e ha riproposto, senza specificare, la possibile rimessa in discussione di tali conclusioni’. Quello stesso racconto di violenza che, specifica la Ctu in risposta al Ctp (Consulente tecnico di parte, ndr) di Chiara, non può essere presa ”per oro colato’. Ciò sarebbe non corretto, perché le controverse circostanze oggettive dei comportamenti violenti possono e quindi devono essere provate mediante le prove ordinarie, e non essere liberamente e soggettivamente stimate dal Ctu perché narrate e denunciate da uno dei periziati. Il modo più corretto- aggiunge- è quello di restare quanto più possibile aderenti alla realtà oggettivamente verificabile’.

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LA BIGENITORIALITÀ COME ‘DIRITTO SUPERIORE DEL MINORE’

Due le parole che ricorrono nella perizia più frequentemente, ‘conflittualità’ e ‘bigenitorialità’, definita come ‘diritto superiore’ del minore e suo ‘bisogno primario’. E mentre Chiara viene descritta come ‘non sempre disponibile’ e ‘in preda a una profonda ansia, che potrebbe divenire pervasiva’, il suo ex è dipinto dalla Ctu come ‘collaborativo e disponibile ai colloqui’, ‘più pacato e rispettoso nei confronti dell’ex partner’.

Un primo decreto del Tribunale di Treviso nel luglio 2016 dispone l’affido del bambino ai Servizi Sociali della Asl con collocamento prevalente presso la madre. ‘Sul mio ex- racconta la donna- non sono stati autorizzati approfondimenti psichiatrici per verificare le cause della sua aggressività, né ci è stata assegnata la casa familiare. Sono stata costretta a pagarmi un affitto, nonostante io fossi precaria’. Chiara si oppone con un reclamo alla Corte d’Appello di Venezia che lo rigetta e definisce la sua condotta ‘ostativa’. Ma l’inverno successivo la situazione si complica ulteriormente. Luca ha la prima grave crisi dovuta alla sua patologia e viene ricoverato per oltre un mese tra l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e il Gemelli di Roma. ‘In questo periodo di ricovero lunghissimo il padre sarà venuto quattro volte– ricorda- Anche il giorno del compleanno del bimbo non si è fatto vedere, nonostante fosse domenica. È venuto il sabato mattina e nel pomeriggio è andato via, lasciando tutti senza parole’.

LA SECONDA DENUNCIA PER SOTTRAZIONE DI MINORE MENTRE IL BIMBO ERA IN OSPEDALE

Nel frattempo ‘coadiuvato dai Servizi Sociali, mi denuncia nuovamente per sottrazione di minore- racconta Chiara- Secondo loro, con un bambino che aveva più crisi al giorno, che i medici avevano detto di non spostare finché non si sarebbe stabilizzato, io avrei dovuto prendere la macchina e portarlo in Veneto’. Poi intraprende un’altra azione legale, stavolta ‘al Tribunale di Venezia, in cui chiede la decadenza della mia responsabilità genitoriale. Ma il giudice decreta il collocamento di Luca con me, proprio perché un suo allontanamento sarebbe stato contrario al suo interesse e non erano state riscontrate carenze nell’accudimento‘.

LA DECADENZA DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE E IL COLLOCAMENTO IN CASA FAMIGLIA

La decadenza della responsabilità genitoriale, dunque, non arriva fino all’agosto 2020, quando al Tribunale dei Minorenni di Roma si apre un nuovo procedimento legato ‘al ricorso del mio ex alla Corte di Strasburgo, intentato per le lungaggini della giustizia italiana e perché non avrei ottemperato alle disposizioni del tribunale’, cioè agli incontri protetti padre-figlio stabilite dall’ultimo decreto. ‘Dopo il primo di questi incontri- sottolinea mamma Chiara- Luca è tornato a casa che era uno straccio e si è addormentato in macchina. Venivano svolti in una stanza molto piccola di un centro famiglie, lo facevano giocare a palla con la finestra chiusa nonostante il caldo. Sono stati sospesi solo per il mese di novembre. A dicembre ho avuto la certificazione per fare in modo che il bimbo facesse attività di movimento e di riposo, ma il padre non si è presentato. Dopodiché c’è stato lo stop per l’arrivo del Covid’.

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Il pensiero di Chiara va, ancora una volta, alle condizioni di salute del bambino che tenta di proteggere: ‘Una circolare ministeriale, non io, diceva che il Covid poteva dare complicazioni più gravi nei pazienti che soffrono della patologia di Luca. Per questo, anche quando ha riaperto il centro, ho chiesto di continuare a effettuare gli incontri protetti in videochiamata, così come sta proseguendo anche con la scuola in Dad, dietro regolare certificato medico’. Decisioni che procurano alla mamma altre due denunce per sottrazione di minore, mentre intanto arriva una condanna a un anno e otto mesi di reclusione per quelle precedenti, ‘sentenza che abbiamo impugnato alla Corte di Appello di Venezia’.

La situazione precipita nel settembre 2020, quando il Tribunale dei Minorenni di Roma dispone la sospensione della responsabilità genitoriale a padre e madre, nomina un tutore provvisorio e incarica il Servizio Sociale del Comune di Roma di elaborare un progetto di intervento sul minore, per favorire il percorso di avvicinamento padre-figlio. A dicembre, l’ultimo decreto parla di una condotta materna ‘gravemente pregiudizievole degli interessi del minore ad una condizione di vita serena e sana. Il rifiuto per il proprio figlio di qualunque attività scolastica in presenza, ricreativa e di socialità, come gli ostacoli frapposti alla regolare e serena ripresa della relazione di Luca con il proprio padre- si legge- rendono indifferibile ed urgente il collocamento del minore in adeguata casa famiglia’.

‘È tutto basato su una serie di dichiarazioni false da parte del tutore- racconta Chiara- Ha detto davanti al giudice che il bambino non era capace di prendere una palla e per questa sua incapacità si metteva a piangere, informazioni che il tutore diceva confermate dal centro dove Luca fa psicomotricità. Ho scritto una pec al centro che ha smentito di aver fatto una dichiarazione del genere, anche perché a palla Luca lì non ci ha mai giocato né questa persona l’ha mai visto giocare. A questo si aggiunge una memoria depositata dal padre in cui ha scritto che da quando è a Roma Luca è costretto a vivere tra quattro mura, che non può uscire né andare al parco o in bicicletta, e che vive solo con me e con i miei genitori chiuso in casa. False dichiarazioni non supportate da prove e recepite per vere dal Tribunale che non le ha verificate‘.

La donna è disperata: ‘Ho scritto a tutti- dice- al Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Lazio, alla presidente della Commissione femminicidio, che ha segnalato il caso alla sindaca di Roma e anche all’assessore regionale alla Sanità. Il padre si preoccupa che è venuta la Questura e non ha trovato Luca, non che sta mettendo il figlio non si sa bene nelle mani di chi‘.

‘Si tratta di una situazione di rivendicazione quasi proprietaria di questo figlio da parte del padre, senza che lui abbia messo in atto condotte di cura in concreto- dichiara all’agenzia di stampa Dire l’avvocata di Differenza Donna Ilaria Boiano, attuale legale della donna assieme all’avvocata Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale della ong- Il nodo è se si può emanare un provvedimento di allontanamento senza considerare l’impatto su un bambino che ha determinate fragilità, il bilanciamento in termini di sicurezza di questo tipi di procedimenti sui minori, tra il suo diritto a ristabilire un rapporto col padre e quello di stare nella sua dimensione abitativa familiare in modo sereno. Luca è un bambino seguitissimo che, nonostante la sua disabilità, ha fatto enormi passi avanti, come dimostrano le dichiarazioni fatte dalla scuola che frequenta. Dal nostro punto di vista- conclude- è un provvedimento afflittivo che risponde in modo punitivo verso la donna a fronte di generali inadempienze e lacune che il ricorrente alla Corte di Strasburgo imputa all’Italia’.

‘Provvedimenti di questo tipo- commenta alla Dire l’avvocata Manente- sono irragionevoli, sproporzionati e rendono visibile un doppio standard per le madri che smentisce la buona fede di chi li giustifica in nome della bigenitorialità: manca la verifica dell’impatto di queste decisioni sulla salute dei minori, improvvisamente privati della figura materna che ha protetto e accudito. Questa- dice netta- è violenza istituzionale che si aggiunge a quella domestica. È una discriminazione sistematica contro le donne’.

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