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FOTO | La Chiesa di Bologna ‘sonda’ Congo e Ruanda per una nuova missione

Due preti bolognesi sono stati inviati per due settimane in 'perlustrazione': don Davide Marcheselli, parroco di Cristo Re, e don Enrico Faggioli, parroco di Mapanda (Tanzania)

Pubblicato:18-05-2019 10:17
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:28

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BOLOGNA – Dopo 45 anni di gemellaggio con la diocesi di Iringa, in Tanzania, la Chiesa di Bologna ha iniziato a guardarsi intorno per avviare nuove missioni in Africa. Per questo, due preti bolognesi sono stati inviati per due settimane in ‘perlustrazione‘: don Davide Marcheselli, parroco di Cristo Re, e don Enrico Faggioli, parroco di Mapanda, proprio della diocesi tanzaniana di Iringa.

Meta del viaggio, durato dal 26 aprile all’11 maggio scorso, è stata la regione del Kivu, al confine tra Congo e Ruanda, teatro 25 anni fa della guerra tra Hutu e Tutsi.

“L’idea, partita già con Caffarra, ma portata avanti in particolare da Zuppi– spiega alla ‘Dire’ don Marcheselli, che per 10 anni è stato missionario in Tanzania- è di arrivare nel giro di qualche anno a consegnare la diocesi di Iringa completamente al clero locale”.


A Mapanda è appena iniziata la costruzione della nuova chiesa, quindi il passaggio non avverrà “prima di due o tre anni”. Zuppi ha quindi chiesto alla Chiesa di Bologna di riflettere se continuare o meno una collaborazione con altre realtà. La risposta è stata positiva e ora si tratta di capire dove avviare una nuova missione. L’idea è di rimanere in Africa, spiega ancora don Marcheselli, in una zona di lingua swahili (i preti bolognesi che sono stati in Tanzania già lo parlano) e che sia, per usare le parole di Papa Francesco, una “periferia del mondo”. Da qui il viaggio nella regione del Kivu, nelle città di Goma, Bukavu e Uvira, per prendere contatto con le diocesi locali e toccare con mano la situazione. Un contesto, racconta don Marcheselli, fatto di povertà, violenza, sfruttamento e totale assenza dello Stato. La divisione tra Utu e Tuzi “è ancora molto forte: è una pentola a pressione secondo molti”, spiega il sarcerdote.

Nelle tre città principali del Kivu “si vive per lo più alla giornata- racconta ancora don Marcheselli- ho visto tanti bambini di strada, orfani. Ci sono baraccopoli e banditismo, il 50% delle persone è analfabeta. Tutti sottolineano la grande assenza dello Stato centrale congolese: l’amministrazione non funziona, le strade non ci sono e le scuole pubbliche non esistono. L’acqua corrente non c’è e l’energia elettrica funziona un giorno ogni tanto”.

Nelle città, rimarca il prete bolognese, “c’è anche un inquinamento spaventoso, sia per le emissioni dei generatori sia per i rifiuti che non vengono raccolti”. In questo contesto però, spiega don Marcheselli, “ho visto una Chiesa cattolica molto attiva, anche per sopperire all’assenza dello Stato”, in particolare sul fronte della scuola, dell’assistenza sanitaria e di aiuto agli agricoltori.

“In quella zona non ci sono industrie o fabbriche- sottolinea il sacerdote- non c’è lavoro come lo intendiamo noi. E molti sono schiavi nelle miniere”.

Il Kivu è la regione del Congo al confine col Ruanda, il Paese dove nel 1994 si è consumato il genocidio degli Hutu contro i Tutsi, che provocò almeno un milione di morti. Quando prese il potere l’esercito di liberazione guidato da Paul Kagame, che è da 20 anni presidente del Ruanda, gli Utu fuggirono in Congo e vennero concentrati in mega-campi profughi al confine tra i due Stati. Nel 1997, però, l’esercito ruandese e il governo del vicino Uganda fecero il loro ingresso in Congo per sostenere l’avanzata di Laurent-Desirè Kabila contro il regime di Mobutu in Congo. Quella fu l’occasione per i ruandesi di vendicarsi del genocidio Tuzi: stime al ribasso parlano di almeno sei milioni di morti tra gli Utu da allora.

“Queste guerre hanno prodotto un’instabilità che ancora oggi perdura- spiega don Marcheselli- perchè fa comodo per lo sfruttamento da parte di multinazionali straniere e di politici o signorotti locali”. La zona del Kivu è una delle più popolose dell’Africa, per il terreno fertile e perché è estremamente ricca nel sottosuolo: oltre a petrolio e metano si trovano oro, diamanti, rame, litio e coltan, che serve per creare i micro-condensatori dei processori per computer e smartphone. In particolare, racconta don Marcheselli, “la tracciabilità del coltan non parte dal Congo, nonostante sia estratto lì, ma è il Ruanda che figura come primo produttore di questo minerale, per responsabilità e interessi delle realtà ruandesi”. Di conseguenza, sottolinea il prete bolognese, “la gente viene cacciata dalle proprie terre, proprio perché sono appetibili. Le persone scappano in città, ma non trovano lavoro. Quindi per reinventarsi si arruolano nelle milizie e tornano nelle campagne come violenti, al soldo di chi sfrutta i terreni. Ci sono miniere ovunque e molte negli ultimi anni sono diventate di proprietà cinese”. Instabilità e insicurezza della zona hanno anche in parte ‘frenato’ il viaggio dei sacerdoti di Bologna. “A Goma e Uvira siamo rimasti in città- racconta don Marcheselli- non ci è stato permesso di andare in giro per le zone rurali perché troppo pericolose”.

Nelle città, riferisce ancora il sacerdote, “c’è una concentrazione altissima di persone, sia popolazione locale sia rifugiati”, visto che i campi profughi qualche anno fa “sono stati tutti smantellati”. Le città dunque “sono sovrapopolate, ma ho visto anche una capacità di accoglienza che dalle nostre parti fa paura. Le famiglie, le persone comuni che magari hanno qualche piccolo terreno in periferia, permettono ai profughi di viverci in attesa di poterlo utilizzarlo. Oppure li accolgono in casa”.

La città di Uvira in particolare “ha risentito di più delle guerre, perchè è la porta d’ingresso al Congo ed è la realtà più bisognosa”, continua don Davide. La diocesi della zona, che è grande quasi come Ruanda e Burundi insieme, è tagliata a metà da una catena montuosa, “ma la strada per passare da una parte all’altra non esiste più”. La città è sulle rive del lago Tanganica, il cui livello dell’acqua però “si è alzato negli ultimi anni e ha sommerso alcune case. Spesso si verificano alluvioni a causa della pioggia e lo stesso piazzale di fronte alla cattedrale di Uvira è a rischio erosione- racconta don Marcheselli- a Bukavu, invece, dove abbiamo visitato anche le zone rurali, non ci sono tante zone di insicurezza”. La vera emergenza umanitaria in realtà è nella parte più settentrionale del Kivu, a nord di Goma, che sono “zone di estrema violenza e ancora alle prese con l’ebola”.

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