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ROMA – “Qualche giorno fa sei militari sono entrati nel campo profughi puntandoci contro i fucili e intimando: ‘O andate nella foresta o vi rispediamo nel vostro Paese: qui non vi vogliamo più’. E così quotidianamente c’è qualcuno che si avventura a piedi verso i boschi. Ognuno di noi ha una storia diversa, ma ci lega una cosa: nei nostri paesi non possiamo tornare”. Mohammad ha 30 anni ed è iracheno e all’agenzia Dire conferma voci che stanno circolando da qualche tempo: le autorità di Minsk starebbero cercando di svuotare il campo allestito l’autunno scorso a pochi chilometri dalla frontiera polacca per ospitare le centinaia di profughi che non riuscivano a varcare il confine.
Se prima l’hangar adibito a dormitorio contava 2-3mila persone, tra cui tante famiglie con bambini, oggi secondo il profugo “siamo rimasti in duecento. Un gruppo di 70 persone è partito stamani”. Stime che non è possibile confermare, in assenza di osservatori internazionali, operatori umanitari e giornalisti sul campo, che i militari non lasciano avvicinare. Tuttavia le ong che assistono i migranti sull’altro lato del confine – tra cui Grupa Granica, alleanza di ong polacche costituitasi a settembre scorso – confermano che si sta registrando un aumento delle richieste di aiuto da parte dei profughi che si nascondono nelle foreste polacche. Tentano di raggiungere le zone abitate e da lì proseguire verso Varsavia o la Germania. Ma devono farlo di nascosto perché se i militari o gli agenti di frontiera polacchi li trovano, stando alle denunce di migranti e ong, vengono obbligati a tornare in Bielorussia.
Una pratica che oltre a Mohammad conferma anche Yassin, 52 anni, altro profugo che riusciamo a raggiungere all’interno del campo: “Da Minsk ci siamo diretti verso la frontiera bielorussa in bus e poi ci siamo inoltrati nei boschi a piedi, attraversando il confine polacco, portando a turno la carrozzina di mio figlio di 20 anni, che è tetraplegico” racconta l’uomo, anche lui di origini irachene. “Era novembre. In Polonia però i militari ci hanno trovato. Li abbiamo scongiurati di lasciarci passare perché eravamo al freddo da giorni e in più mio figlio ha bisogno di cure che in Iraq non riusciamo a trovare. Ma ci hanno costretto a tornare indietro e siamo finiti nel campo profughi di Bruzgi. Siamo qui da sei mesi ormai”.
La vita nel campo, in assenza di aiuto umanitario e legale, non è semplice, ma “da quando i militari bielorussi hanno iniziato a minacciarci- continua Yassin- io e mia moglie viviamo nella paura. Non credo che obbligheranno davvero a entrare nei boschi ma se l’alternativa è l’Iraq, dovremo farlo“.
Yassin e Mohammad, pur provenendo da zone diverse dell’Iraq e pur essendo partiti a distanza di mesi, danno un racconto molto simile del modo in cui sono riusciti a raggiungere la Bielorussia. Entrambi si sono rivolti a un’agenzia turistica in Iraq che gli ha proposto un pacchetto completo comprensivo di biglietti per gli spostamenti (l’autobus fino a Istanbul e il volo aereo per Minsk), il visto d’ingresso per la Bielorussia e una settimana in un hotel della capitale. Costo: 3mila dollari a testa. “L’agenzia aveva contatti in Bielorussia”, affermano entrambi, “e per i soldi abbiamo fatto una colletta”.
I due profughi non sanno spiegarsi perché i militari bielorussi stiano cercando di liberare Bruzgi dalla presenza dei migranti, ma secondo un volontario polacco contattato sempre dalla Dire – e che chiede di restare anonimo – il sospetto ricade sul conflitto scoppiato il 24 febbraio scorso in Ucraina con l’offensiva delle forze russe: “La Bielorussia sembra voglia sbarazzarsi in fretta dei migranti, che rappresentano un peso- dice- d’altro canto continua a strumentalizzarli per fare pressioni sull’Unione europea, rivelando al mondo quanto sia disumana insieme alla Polonia”. Un argomento che, spiega, “torna utile alla propaganda”.
La società civile polacca, col sostegno del governo di Varsavia, è in questi giorni impegnato nell’emergenza ucraina: quasi 2 milioni i profughi ucraini che sono stati già accolti col sostegno delle istituzioni europee, in accordo col diritto internazionale. Tuttavia, i profughi non ucraini provenienti dalla Bielorussia, in maggioranza mediorientali, “non vengono accolti- prosegue il volontario- e non viene data loro la possibilità di ottenere l’asilo sebbene provengano da paesi come Iraq, Siria o Afghanistan. Anzi, ormai vengono costretti nella ‘buffer zone’, ossia la fascia di terra tra le due barriere di filo spinato tra Polonia e Bielorussia, al gelo, senza cibo né acqua. Una tortura senza fine”.
Il presidente bielorusso Aleksander Lukashenko, alleato dell’omologo russo Vladimir Putin, ha espresso apertamente il suo sostegno a Mosca nel conflitto ucraino e rafforzato le truppe al confine. Sebbene il governo di Kiev lanci moniti sul possibile ingesso di Minsk in guerra, di recente il capo di stato maggiore e viceministro della Difesa bielorusso Viktor Gulevich ha negato però che lo spostamento di truppe al confine “sia collegato alla preparazione, per non parlare della partecipazione, del nostro esercito in un’operazione in Ucraina”.
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