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Italiana la prima mappatura in Somalia del Covid, e smentisce l’Oms

Mohamud (Società Geografica): "Mogadiscio come Londra o New York"

Pubblicato:18-03-2021 18:58
Ultimo aggiornamento:19-03-2021 12:15

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ROMA – “Non è vero che in Africa la pandemia di Covid-19 ha colpito meno, il virus è stato solo meno virulento nella prima fase”. Parola di Kadigia Mohamud, coordinatrice di uno studio a guida italiana condotto in Somalia che rivela una circolazione del virus a Mogadiscio simile ai tassi registrati in alcune delle capitali più colpite al mondo, come New York o Londra, con una media di 800 nuovi casi al giorno tra febbraio e settembre, nonostante le istituzioni abbiano confermato all’Oms solo 3.588 casi in tutto il Paese.

LA RICERCA

Mohamud è la coordinatrice dello studio ‘Seroepidemiological investigation of Sars-Cov-2 infection in households and institutions in Mogadishu’, realizzato su iniziativa della Società geografica italiana in collaborazione con l’Università degli studi di Roma Tre e il governo somalo e finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). L’esperta, una laurea in medicina e un dottorato in Italia, responsabile dal 2010 di progetti tra Italia e Somalia volti a rafforzare la sanità, all’agenzia Dire racconta: “Tra febbraio e settembre abbiamo creato un team di 55 operatori per eseguire test sierologici casa per casa nel quartiere di Hodan, a Mogadiscio. Lo abbiamo scelto perché è molto popoloso e soprattutto variegato. Conta 100.000 abitanti e ospita dei ministeri, una base militare, università, scuole, ospedali, case private e persino un campo di sfollati interni”.

Le persone sono state scelte in modo del tutto casuale. Sono stati inclusi uomini e donne, persone sane e malate, giovani e anziani da cinque a oltre 60 anni. Il test sierologico, dice Mohamud, “permette di capire se la persona ha contratto il virus, anche in modo asintomatico, nei sette mesi precedenti. Abbiamo effettuato 2.219 test che hanno permesso di individuare 247 positivi, numero pari al 11,1% del campione, e distribuiti in modo omogeneo nel quartiere”. Se Hodan rappresenta una fotografia dell’andamento epidemico dell’intera capitale, “Mogadiscio rivela una sieroprevalenza simile a quelle di città come New York, Madrid o Londra” sottolinea l’esperta, ricordando che “gli studi dopo la prima ondata del virus hanno indicato una diffusione rispettivamente del 13,4%, del 7% e del 15%”.


A variare rispetto ai Paesi occidentali è invece la percentuale di asintomatici, che a Hodan “si attesta sul 66%, mentre altrove la media è del 40%”. In questo, dice Mohamud, “forse gioca un ruolo l’età media molto bassa della popolazione, di 25 anni, ma serviranno ulteriori studi per confermarlo”. Proiettando queste percentuali sui 100.000 abitanti di Hodan si possono calcolare 4.000 casi sintomatici e 7.000 asintomatici nel periodo considerato. Insomma “solo nella capitale da febbraio a settembre si possono ipotizzare 11.000 contagi” avverte l’esperta. Che continua: “Se Mogadiscio conta circa 1.650.000 abitanti, si tratterà allora di 66.000 sintomatici e 115.500 asintomatici, con una media di circa 750 nuove infezioni al giorno”, che è simile al dato raggiunto in Italia a marzo e a novembre del 2020. Numeri quindi molto distanti dai 3.588 casi totali confermati dalle autorità somale all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nello stesso periodo, per giunta riferiti “a tutto il Paese”, evidenzia Mohamud.

A determinare il divario nella stima dei contagi influiscono diversi fattori, che per l’esperta possono accomunare anche altri Paesi africani: “Dato che la maggior parte delle persone non ha avvertito i sintomi, non si è allarmata. Inoltre i test per il Covid-19 sono pochi e le informazioni sono state date in maniera non chiara”. In un Paese abituato ad affrontare epidemie “con un inizio e una fine, come la malaria o il colera”, dice Mohamud, “le persone non ritengono indispensabile proteggersi, ma purtroppo il Covid-19 non se ne andrà da solo”.

Ma senza studi come quello realizzato dal team di Mohamud, dice l’esperta, “come si fanno a isolare i focolai, o a capire quali categorie vaccinare per prime? La maggior parte della gente in Somalia non è registrata all’anagrafe. Come si stabiliscono le fasce d’età?”. Prima della guerra civile, ricorda la studiosa, “in Somalia c’erano tra i migliori ospedali e laboratori clinici d’Africa e i giovani laureati potevano fare ricerca, intraprendendo la strada del dottorato. La Somalia di oggi invece è ferma a 30 anni fa e negli ospedali manca tutto, persino l’ossigeno”. In settimana intanto è partita la campagna vaccinale, con 300.000 dosi di AstraZeneca giunte tramite il meccanismo Covax: “È un bene ma non è la soluzione definitiva” dice Mohamud. “Inoltre la campagna va gestita attraverso un registro vaccinale e scongiurando corruzione e clientelismi”, per evitare una scorretta distribuzione del siero.

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