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VIDEO | Quando la casa rifugio si autofinanzia, una ‘Stella Polare’ nella Valle del Comino

Seconda tappa del viaggio nei centri antiviolenza D.i.Re del Lazio, realizzato da dell’Agenzia Dire, con il notiziario DireDonne

Pubblicato:18-03-2019 11:59
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:14

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ROMA – La casa rifugio del centro antiviolenza ‘Stella Polare’ di Sora, in provincia di Frosinone, è immersa in un borgo tra le montagne della Valle del Comino, nel basso Lazio. È qui che Rachele, 22 anni, è approdata in un’estate con i suoi tre figli, Michele, 6 anni, Sabrina di 5, e Aurora, un anno e grandi occhi neri (i nomi sono di fantasia, ndr). A salvarla da “una vita malata”, fatta di botte, divieti e umiliazioni da parte di un marito “molto geloso”, “un cartellino appoggiato su un banco dei servizi sociali del Comune” dove Rachele era andata a pagare il trasporto scolastico dei bambini. Parlava “di assistenza giudiziale”, racconta alla Dire, “di avvocati e assistenti sociali che erano in Prefettura”. Da lì, nella testa della giovane mamma scatta qualcosa. Decide di non tornare più a casa, di fare un salto “nell’ignoto”, e, dopo qualche settimana dalle suore, entra in un programma di protezione in casa rifugio a indirizzo segreto gestita dall’associazione Risorse Donna Onlus, inserita in D.i.Re-Donne in Rete contro la Violenza.


IL CENTRO ANTIVIOLENZA STELLA POLARE

“Il centro antiviolenza ‘Stella Polare’ è nato nel 2009- spiega alla Dire Elisa Viscogliosi, presidente dell’associazione Risorse Donna Onlus e responsabile del centro antiviolenza ‘Stella Polare’- Accogliamo una media di 80-90 utenti ogni anno, quindi ad oggi abbiamo superato gli 800 casi gestiti. Sappiamo però che i numeri sul territorio sono molto più importanti, perché abbiamo una collaborazione molto stretta con il pronto soccorso dell’ospedale di Sora che solo nel 2018 ha registrato 864 accessi in tutti i pronto soccorso della provincia, quindi capiamo che stiamo lavorando con la punta di un iceberg”.

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Una collaborazione, quella di ‘Stella polare’ col nosocomio di Sora, basata sul ‘Codice Rosa’, il protocollo di accoglienza per le vittime di violenza in cui è prevista anche la raccolta ed elaborazione dei dati, realizzata nella cittadina ciociara grazie all’impegno dell’infermiera referente Nadia Gabriele. La tipologia di violenza più segnalata al centro ‘Stella Polare’ è quella fisica, che nel 2018 ha fatto registrare quasi il totale dei 77 accessi, seguita da quella psicologica e economica, quindi da stalking e molestie.

LA STORIA DI RACHELE

Maltrattamenti spia che spesso precedono il primo schiaffo. Come per Rachele, sposa per amore all’età di 16 anni, che nei suoi sette di matrimonio ha rinunciato a tutto. Un caffè con le amiche, una passeggiata, una giornata in biblioteca, un lavoro. Tutto, per lui, era motivo di gelosia, “ha fatto perfino mettere lo spioncino alla porta- racconta- perché così avrei potuto controllare se dall’altra parte c’era un uomo e non aprire”. Litigi su litigi, poi le prime botte, che diventano la quotidianità quando Rachele resta incinta della terza figlia. “Volevo abortire però non me lo ha fatto fare. Anche se ora provo un amore immenso per quella bimba, non auguro a nessuno di avere in pancia qualcosa che non vuoi”. Un tilt affettivo che Rachele fa fatica a ricordare e raccontare.

“La prima resistenza che riscontriamo sulle donne che iniziano il loro percorso di uscita dalla violenza nella casa rifugio è la paura- spiega Raffaella Tammelleo, pedagogista del centro- perché vengono catapultate in una realtà in cui devono lavorare su se stesse e crearsi un’autonomia”. Per questo, alcune preferiscono tornare indietro; altre, soprattutto se giovani come Rachele, riescono a costruire il loro nuovo progetto di vita più in fretta, a volte persino prima degli usuali sei mesi.

“Il centro garantisce l’assistenza telefonica h24, cinque giorni su sette uno sportello e sette su sette la casa rifugio gestita da un’equipe di circa dieci persone (responsabile, pedagogista area minori, psicologa dell’età evolutiva, operatrice per l’orientamento al lavoro, operatrice per il reinserimento sociale, psicologa per i colloqui, e quattro volontarie), che sostiene le sue attività con l’autofinanziamento- precisa la responsabile del centro- In un anno abbiamo circa 100mila euro di costi di gestione. La nostra forza è il fatto di credere ad un progetto in cui non siamo semplicemente operatrici, ma anche attiviste e volontarie”, inserite nella grande rete D.i.Re.

“L’adesione alla rete nazionale- continua Elisa Viscogliosi- è stata per noi una grande risorsa, non solo perché così abbiamo uno sguardo sulla politica nazionale dei centri antiviolenza, ma perché D.i.Re organizza campagne di raccolta fondi che vanno a supporto dei progetti di autonomia delle donne e, per noi operatrici, corsi di formazione, momenti di confronto, assemblee, per portare avanti un progetto femminista che manca sul territorio”.

Quel territorio è l’Italia interna, dei piccoli paesi, della provincia, dove il solo fatto di “strutturare questi progetti è un’opera di sensibilizzazione”, portata avanti nelle scuole, “per promuovere il concetto di pari opportunità, rispetto e differenza di genere”, e anche sul territorio, per garantire alle donne un futuro una volta fuori dalla casa rifugio.

“Le donne qui fanno un percorso nel percorso- sottolinea Alessia Garonfalo, operatrice per l’inserimento socio-lavorativo- L’obiettivo è trovare un lavoro, riscoprendo le loro competenze, ma anche potenziando le loro abilità”. Ricerca di un lavoro, ma anche “percorso di empowerment professionale e personale, che agisce sulla sua identità”.

Un sorriso, il silenzio, le lacrime. In casa rifugio “ognuna affronta il dolore a modo suo”, racconta Rachele, che dopo quattro mesi e una denuncia all’ex marito per maltrattamenti in famiglia, si è iscritta a scuola guida, ha trovato un lavoro e a giugno sarà pronta per l’esame di maturità. “Sono riuscita a ricostruire la mia vita senza paura, più determinata, perché quando hai un obiettivo da raggiungere, quando hai dei figli, schermi tutto il dolore e la paura. Vai avanti e non vedi più neanche le persone che ti passano vicino per quanto sei concentrata sull’obiettivo”. E l’obiettivo di Rachele è solo uno: riuscire a crescere Michele, Sabrina e Aurora “come persone felici”.

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