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Fondi Ue e migrazioni, un’inchiesta accusa: l’Europa può spendere 4,6 miliardi senza trasparenza

Ecco l'inchiesta 'The Correspondent' realizzata dai giornalisti Giacomo Zandonini, Maite Vermeulen e Ajibola Amzat

Pubblicato:18-02-2020 18:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:01

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ROMA – Nove mesi: questo il tempo che i giornalisti Giacomo Zandonini, Maite Vermeulen e Ajibola Amzat hanno impiegato per la realizzare l’inchiesta ‘The Correspondent’, che punta a far luce su come vengono impiegati i finanziamenti europei per le migrazioni in Africa subsahariana. A partire dal 2015, “dopo aver dichiarato una ‘crisi’ in 26 Paesi africani – si legge nel sottotitolo del lavoro, pubblicato sul portale olandese ‘The Correspondent’ – l’Ue può adesso spendere 4,6 miliardi di euro senza ricorrere a procedure trasparenti“.

Il dato immediato che emerge da questo lavoro giornalistico è anzitutto la difficoltà di accesso ai documenti per tracciare i flussi di Aiuti allo sviluppo (Aps) dell’Ue e dei singoli Stati membri verso l’Africa. Per legge “i dati sono disponibili per i cittadini, ma non è sempre facile ottenerli”, ha avvertito Zandonini intervenendo alla tavola rotonda organizzata da Concord Italia a Roma, all’Hotel nazionale, dal titolo ‘La cooperazione allo sviluppo europea e le migrazioni: lungo le rotte dei finanziamenti, per comprendere come sono stati spesi i nostri soldi’.

Dall’inchiesta emerge poi “l’assenza di una visione complessiva dell’impiego di tali risorse da parte delle stesse istituzioni europee“, che puntano ad “arginare i flussi, piuttosto che creare canali di accesso legali all’Ue”.


In particolare, ha spiegato Zandonini all’agenzia Dire, “abbiamo mappato 770 milioni di euro di fondi per progetti sulle migrazioni in Nigeria dall’Ue e 11 Stati membri, Italia inclusa”. I reporter hanno così osservato che la maggior parte di questo denaro va a progetti per il controllo dei confini e la gestione delle migrazioni.

“Solo dopo – prosegue Zandonini – vengono la creazione di impiego a livello locale – vista erroneamente come strumento per ridurre gli arrivi di nigeriani in Europa – e infine i progetti contro la tratta e il traffico di migranti. A livello regionale, cioè di progetti che coinvolgono più Paesi, tra cui la Nigeria, su 877 milioni di euro, circa il 50 per cento è destinato a fondi per il rimpatrio“.

Un approccio “privo di senso”, per Zandonini: “Il fatto che manchi una visione d’insieme inficia i meccanismi di monitoraggio, trasparenza e quindi controllo democratico dell’azione Ue. Alcuni deputati europei ci hanno confidato che grazie al nostro lavoro hanno scoperto informazioni di cui prima non disponevano”.

Altrettanto grave poi, secondo l’esperto, è il fatto che “nonostante le promesse europee, non si investe per creare canali legali di ingresso: su un totale di 700 milioni di euro, solo 300mila euro sono dedicati a questo obiettivo. Al contrario questa sarebbe una delle principali vie per combattere la migrazione cosiddetta ‘irregolare'”.

Un punto su cui, durante la conferenza, ha insistito anche Francesco Petrelli, di Concord Italia: “La sensazione è che dal 2015 siano state dichiarate una serie di ‘emergenze’ legate ai flussi migratori, che non trovano però sostegno nei numeri. Manca inoltre una strategia comune europea di medio e lungo periodo, volta a facilitare la mobilità delle persone nell’area euro-mediterranea”.

A confutare poi l’assioma “più sviluppo, meno partenze” è Sara Prestianni, di Arci. “Molti economisti hanno negato questa correlazione” ha detto l’esperta, avvertendo: “E’ fuorviante anche valutare il successo di un programma in base al numero di persone che non sono partite. Non si fugge solo dalla povertà: le partenze sono legate a una più ampia dimensione di libertà e democrazia del processo di mobilità umana”. Una dimensione, ha concluso Prestianni, che “non può essere schiacciata”.

Zandonini ha infine ammonito su due conseguenze negative determinate dalle politiche europee in Africa. “Aver rafforzato il controllo dei confini – ha detto l’esperto – ha anche interrotto il tradizionale passaggio di risorse vitali per le popolazioni che da anni vivono in quelle regioni“.

Secondo Zandonini, il fatto che le politiche Ue boccino come negativa la porosità delle frontiere è un errore perché non tiene conto di un perno importante intorno a cui ruotano le economie locali. “E questo crea sottosviluppo” ha sottolineato Zandonini, aggiungendo: “Altra nota di demerito osservata è che i fondi Ue ‘rientrano’ in Europa o contribuiscono a far crescere organizzazioni internazionali. In Nigeria, ad esempio, il primo ad implementare progetti è l’Agenzia per la cooperazione tedesca, seguita dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Questo ‘bypassa’ completamente gli organismi locali, pubblici o privati”.

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